
Il fatto
L’esercito israeliano ha raggiunto il cuore di Gaza, inclusa la zona di Deir al Balah, “l’unica città ancora risparmiata dalla guerra” (Financial Times, 22/7/25).
Contemporaneamente, 28 Paesi hanno firmato una risoluzione che condanna l’offensiva di Israele e ne chiede “l’immediata cessazione”.
Ma a chi è rivolta la richiesta di “fermare la guerra”? Solo a Israele perché Hamas, che ha dato inizio al conflitto il 7 ottobre, scompare dal lessico internazionale. Nessuno gli chiede di smettere. Nessuno gli chiede di restituire gli ostaggi.
Il teatro della diplomazia
Chi pensa che queste dichiarazioni siano espressione di puro idealismo umanitario, dovrebbe guardare meglio gli attori sul palcoscenico. La verità è che più Israele avanza verso i centri di comando di Hamas, più il mondo diplomatico sembra agitarsi. E non per fermare Hamas, ma per salvare ciò che ne resta.
Il motivo non è la sorte dei civili – Hamas continua a usarli come scudi umani da anni, e nessuna risoluzione lo ha mai fermato – ma la paura di uno scenario in cui Hamas venga davvero sconfitto.
Una vittoria netta di Israele cambierebbe gli equilibri nella regione, rimuovendo un attore utile proprio perché destabilizzante.
Il Corriere della Sera parla di preoccupazione non per Hamas, ma per “il comportamento imprevedibile di Netanyahu” dopo i raid in Siria (Corriere, 22/7).
Hamas può colpire e tacere. Israele, se reagisce, diventa immediatamente l’unico problema.
La protezione mascherata
Dietro lo scudo diplomatico si nasconde una rete di interessi economici, finanziari e geopolitici. Hamas, infatti, è sostenuto da Qatar e Iran, due Paesi con enormi capacità di influenza politica e mediatica. Diventa così difficile per molte cancellerie condannare apertamente chi finanzia le loro università, acquista le loro armi o tiene in piedi le loro economie con accordi energetici e appalti infrastrutturali.
In questo contesto, la retorica pacifista è una copertura conveniente perché serve a proteggere una realtà funzionale al disordine, è utile per negoziati futuri, per narrazioni interne e per posture ideologiche.
La domanda
Israele deve “fermare la guerra”, Hamas può continuare a farla.
Israele deve “liberare Gaza”, ma nessuno chiede a Hamas di liberare gli ostaggi.
La domanda, a questo punto, non è più diplomatica, ma politica:
Chi vuole la sopravvivenza di Hamas? E perché?






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