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Vita, cultura, lavoro prima del ritorno

Uno dei primi casi documentati di autogoverno ebraico si registrò nel DP Camp di Bergen-Belsen, nella zona di occupazione britannica.

La liberazione dei campi di concentramento e di sterminio non fu, per la maggior parte dei sopravvissuti ebrei, il punto di partenza da cui ricominciare. Le potenze alleate non elaborarono un piano rapido e strutturato per la loro accoglienza e così molti di loro furono trasferiti nei Displaced Persons Camps (DP Camps), sorti in Germania, Austria ma anche in Italia, ricavati da ex campi di concentramento o da strutture militari dismesse. I sopravvissuti furono classificati per nazionalità, non come gruppo perseguitato specificamente in quanto ebreo. Il Rapporto Harrison, pubblicato nell’agosto 1945, descrisse con chiarezza questa condizione: i reduci ebrei continuavano a vivere dietro al filo spinato, sotto sorveglianza armata, in condizioni di sovraffollamento e precarietà igienica.

È in questo contesto di mancata accoglienza che nei DP Camps prese forma un processo di riorganizzazione ebraica che riguardò tutti gli aspetti della vita quotidiana. Nell’immediato dopoguerra, i sopravvissuti ebrei iniziarono a definirsi She’erit Hapletah (שְׁאֵרִית הַפְּלֵיטָה), espressione biblica che significa letteralmente “il resto dei salvati”. Il termine assunse un significato politico e sociale preciso: i sopravvissuti, consapevoli della distruzione subita, non si persero d’animo e lavorarono alla propria rinascita.

  1. Rappresentanza e autogoverno

Uno dei primi casi documentati di autogoverno ebraico si registrò nel DP Camp di Bergen-Belsen, nella zona di occupazione britannica. Nell’aprile del 1945 esisteva già un comitato dei sopravvissuti ebrei, incaricato di rappresentare la popolazione del campo presso le autorità militari. Nel giugno dello stesso anno, sotto la guida di Josef Rosensaft e Norbert Wollheim, si consolidò il Comitato Centrale degli Ebrei Liberati. Aggregazioni analoghe si strutturano, poi, in molti altri campi. In questi luoghi, i comitati coordinavano la distribuzione degli aiuti umanitari o gestivano i rapporti con l’UNRRA, l’organizzazione dell’ONU istituita nel 1943 per fornire assistenza ai paesi devastati dalla Seconda Guerra Mondiale. In molti casi, queste strutture operarono prima di un riconoscimento formale.

  1. L’assistenza interna ed esterna

Questo nuovo assetto venne definito il 25 luglio 1945 nel monastero di St. Ottilien, in Baviera, dove si tenne la Prima Conferenza dei Rappresentanti dei Sopravvissuti Ebrei in Germania, con delegati provenienti da diversi DP Camps della zona britannica e americana. La conferenza costituì la sua prima articolazione pubblica. 

Accanto ai comitati interni, in aiuto ai sopravvissuti dei DP Camps agirono anche enti ebraici transnazionali di assistenza. Tra di essi, la Joint Distribution Committee (JDC) che divenne fondamentale nella distribuzione di cibo per integrare le razioni ufficiali – scarsissime-, il vestiario e i medicinali. Allestì ambulatori, ospedali, mense kosher e servizi religiosi di base. Con la JDC, operò anche la Jewish Agency, con una funzione complementare: mediazione con le autorità alleate, sostegno al riconoscimento dei sopravvissuti come gruppo distinto e pressione costante sulla questione dell’emigrazione verso la Palestina mandataria, ancora bloccata dalla politica britannica del Libro Bianco.
La HIAS (Hebrew Immigrant Aid Society), invece, si concentrò sugli aspetti legali e amministrativi della migrazione: documenti, ricongiungimenti familiari, pratiche per l’emigrazione verso Stati Uniti, America Latina o Palestina mandataria, quando possibile. 

L’istruzione fu un altro degli ambiti più rapidamente organizzati. Scuole elementari, corsi per adolescenti e alfabetizzazione per adulti sono documentati in numerosi campi. L’insegnamento dell’ebraico, dello yiddish, della storia e della cultura ebraica affiancò l’istruzione di base. In questo ambito, ebbe un ruolo cruciale l’ORT (Organizzazione per la Riabilitazione attraverso la Formazione), che nei DP Camps organizzò corsi di formazione professionale in numerosi settori, tra cui meccanica, falegnameria, sartoria, agricoltura o maglieria, con l’obiettivo di costruire competenze utili per una futura vita fuori i campi.

  1. Vita familiare e religiosa

Nei DP Camps si crearono molti nuovi nuclei famigliari. I dati del campo di Bergen-Belsen indicano che nel 1946 si celebrarono 1.070 matrimoni. Nel primo anno dopo la liberazione si registrarono circa sette matrimoni al giorno, e a volte anche cinquanta in una settimana. Nacquero moltissimi bambini. Nel gennaio 1946 erano 120, a settembre dello stesso anno oltre 4000. Secondo un rapporto del JDC di fine novembre 1946, su 134.541 sfollati ebrei nella zona americana, il 3,2% erano neonati fino a un anno e il 3,5% bambini di età compresa tra uno e cinque anni. Questi dati indicano che i campi divennero veri e propri spazi in cui ricostruire una continuità sociale e umana.
Anche il recuperò della vita religiosa ebbe il suo spazio. Vennero allestite sinagoghe a Föhrenwald, Bergen-Belsen, Landsberg. Riprese la celebrazione delle festività ebraiche, grazie anche alla presenza di rabbini e insegnanti religiosi. A ciò si aggiunse un’ulteriore spinta culturale con la fondazione di giornali e la circolazione di bollettini, nonché attività teatrali e musicali, conferenze e corsi culturali. 

  1. Conclusione 

Nonostante l’impegno del regime nazista nel cancellare gli ebrei dall’Europa, la realtà del dopoguerra racconta una storia eccezionale e di cui si parla troppo poco. Nei DP Camps, i sopravvissuti seppero trasformare uno spazio di marginalità in un laboratorio di rinascita collettiva. Attraverso l’autogoverno, la ricostruzione della vita familiare e religiosa, l’istruzione, la formazione professionale e l’impegno politico, She’erit Hapletah affermò la propria resistenza. La rinascita ebraica fu una risposta chiara al progetto di annientamento, una riaffermazione di identità, continuità e futuro.

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