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 I sopravvissuti si organizzano

In tutti i principali DP Camps in Italia emersero rapidamente comitati dei sopravvissuti, eletti o riconosciuti dalla popolazione del campo.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa fu attraversata da una massa senza precedenti di profughi. Milioni di persone non poterono –  o non vollero – rientrare nei luoghi d’origine a causa delle città distrutte, dei confini ridisegnati, delle violenze persistenti e delle persecuzioni che non si erano interrotte con la fine delle ostilità. Per gestire questa situazione, le autorità alleate allestirono i Displaced Persons Camps (DP Camps), strutture pensate come soluzioni temporanee ma dove moltissime persone rimasero anni.

Questo fu il caso di molti sopravvissuti ebrei della Shoah. I DP camps divennero per loro  spazi di permanenza prolungata, in cui fu necessario ricostruire da zero una vita collettiva dopo la distruzione quasi totale delle comunità europee. Tra il 1945 e il 1947, l’Italia svolse un ruolo centrale in questo processo, ospitando una rete articolata di DP Camps, in cui si svilupparono forme avanzate di organizzazione sociale, educativa, religiosa e politica.

Nell’immediato dopoguerra, all’interno dei  DP Camps italiani si registrò la presenza di almeno 40.000 ebrei sopravvissuti. I campi non erano concentrati in un’unica area, ma distribuiti su tutta la penisola, in particolare nel Centro-Nord e lungo la costa adriatica. Vennero allestiti in ex strutture militari, colonie estive, edifici pubblici requisiti o complessi industriali dismessi. Tra questi i campi di Grugliasco, nei pressi di Torino, di Cinecittà, a Roma, di Santa Maria al Bagno, nel Salento, oltre ai centri di Genova, Bari, Merano, Pontebba e in numerose altre località. 

In tutti i principali DP Camps in Italia emersero rapidamente comitati dei sopravvissuti, eletti o riconosciuti dalla popolazione del campo. Questi organismi assunsero funzioni che andavano ben oltre la rappresentanza. Gestirono i rapporti con le autorità militari alleate, coordinando la distribuzione degli aiuti, regolando aspetti della vita interna e fungendo da interlocutori con le organizzazioni internazionali.

Nel novembre del 1945, a Ostia, si tenne la Prima Conferenza dei Profughi Ebrei in Italia, con circa 150 delegati provenienti dai diversi campi. Da questo incontro nacque l’Organizzazione dei Profughi Ebrei in Italia (OJRI), che venne riconosciuta come rappresentanza ufficiale dai comandi alleati e dalle principali organizzazioni ebraiche internazionali. 

Uno dei primi ambiti su cui l’organizzazione si concentrò fu l’istruzione. Nei DP Camps italiani vennero attivate scuole elementari, corsi per adolescenti e programmi di alfabetizzazione per adulti. Accanto all’istruzione di base, assunse un ruolo centrale l’insegnamento dell’ebraico, della storia e della cultura ebraica, elementi fondamentali per una popolazione privata per anni di qualsiasi continuità culturale e religiosa con le proprie radici. Si allestirono sinagoghe, riprese la celebrazione delle festività ebraiche, operarono rabbini e insegnanti religiosi. Parallelamente si sviluppò una produzione culturale significativa: biblioteche, cori, gruppi teatrali, conferenze e attività educative.

Un ruolo decisivo lo ebbe però l’ORT, che organizzò corsi di formazione professionale in numerosi campi italiani. Sartoria, falegnameria, meccanica, agricoltura e lavori artigianali non furono pensati come attività occupazionali temporanee, ma come strumenti per acquisire competenze spendibili in una futura vita fuori dai campi.

E grazie a questa forma organizzativa, poterono ricostituirsi nuovi nuclei familiari. Tra il 1945 e il 1947 si celebrarono numerosi matrimoni e si registrarono centinaia di nascite. A Santa Maria al Bagno, per esempio, vennero celebrati 400 matrimoni e nacquero più di 250 bambini. Nel solo campo di Grugliasco si registrarono almeno 220 certificati di nascita.

I Displaced Persons Camps, compresi quelli italiani, costituiscono, quindi, un tassello fondamentale della rinascita ebraica dopo la Shoah. I sopravvissuti lì decisero di riappropriarsi di ciò di cui qualcuno aveva tentato di privarli, dando un senso a quella vita che tanto faticosamente erano riusciti a tenersi stretta, nonostante le deportazioni e le camere a gas. 

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