Free4Future

Cipro: sopravvissuti dietro il filo spinato inglese

A Cipro, gli inglesi allestirono ben 12 campi, dove vi internarono oltre 50.000 profughi ebrei.

Come abbiamo spesso visto in queste settimane, il mare ha rappresentato uno spazio cruciale per la sopravvivenza o la morte degli ebrei e non solo per le innumerevoli navi cariche di profughi che ne hanno solcato le acque. Abbiamo parlato del Mar Nero, del Mar Egeo ma ancora non avevamo parlato del Mar Mediterraneo. E, più esattamente, di Cipro. Subito dopo la fine della guerra, infatti, furono moltissimi gli ebrei che cercarono di imbarcarsi nei porti del Mediterraneo occidentale per emigrare e ricominciare una nuova vita. Meta principale, la Palestina mandataria.

Un paio di settimane fa abbiamo raccontato la storia della nave Patria, i cui sopravvissuti furono deportati dagli inglesi in un campo di concentramento allestito nelle Mauritius, a dimostrazione che la determinazione degli inglesi a non far sbarcare nemmeno un ebreo nei territori del suo mandato in Palestina era ferrea.

Dopo la fine della guerra, quella determinazione non venne meno. Per ostacolare questi “viaggi della speranza”, sull’isola di Cipro gli inglesi allestirono allora altri campi di internamento, che funsero da ennesima barriera per fermare l’esodo dei reduci ebrei verso le coste della Palestina mandataria.  Qui, chi era faticosamente scampato alla morte in Europa, si scontrò con la più spietata opposizione politica alla salvezza, radicata nella logica del controllo coloniale e fomentata da pregiudizi antiebraici mai rimossi.

A Cipro, gli inglesi allestirono ben 12 campi, dove vi internarono oltre 50.000 profughi ebrei. La vicenda più nota legata ai campi di Cipro è quella della nave ”Exodus”. I profughi si imbarcarono in Francia nel 1947 ma quando arrivarono sulle coste della Palestina mandataria, le autorità inglesi negarono loro lo sbarco. I sopravvissuti vennero tratti in arresto e in qualità di ”prigionieri” furono deportati sull’isola. Da lì, gli inglesi li imbarcarono di nuovo e li rimandarono in Europa.

Mentre nei DP camps di Germania, Austria e Italia la vita ricominciava a prendere forma — scuole, matrimoni, nascite, giornali, teatri — sul mare, anche dopo la fine della guerra, le navi dei superstiti continuarono a essere intercettate, danneggiate e abbordate dalla marina britannica, perché quei reduci non dovevano arrivare nel Yishuv – la comunità ebraica che già esisteva nel mandato britannico di Palestina prima della fondazione dello stato di Israele nel 1948. Chiunque fu arrestato, finì a Cipro.

Uomini e donne, vivi per miracolo, erano usciti dai lager nazisti per ritrovarsi nuovamente dietro il filo spinato, sorvegliati da soldati, privati della libertà di movimento, costretti all’attesa a pochissima distanza dalla propria meta, a soli 400 km da loro. Erano riusciti a fuggire dall’Europa che aveva cercato di cancellarli e una volta arrivati quasi a destinazione, nell’attesa di abbracciare la tanto agognata libertà, impattarono contro il muro dell’amministrazione coloniale britannica, inamovibile ma che, dopotutto, né prima né durante la guerra aveva mai mostrato solidarietà verso gli ebrei.

Questa settimana è dedicata alla storia dei sopravvissuti nei campi di Cipro. A quel momento in cui, dopo la fuga dall’Europa e la ricostruzione nei campi per sfollati, la libertà venne di nuovo negata per ragioni puramente politiche.

free4future

Add comment