Dal caso Carrai alle sanzioni contro Israele: come il giornalismo etico ha riscritto il pregiudizio in nome dei diritti
L’analisi:
🔴 1. I “crimini di guerra” israeliani sono una calunnia senza prove
Quello che i giornali oggi presentano come fatti (sanzioni, condanne morali, esclusioni da fondi e istituzioni) non si basa mai su documentazione verificabile. È un processo mediatico fondato su una “fantasia nera”, che non dimostra ma accusa.
Non c’è uno, dico uno, crimine di guerra israeliano accertato.
Eppure la stampa lo tratta come presupposto.
🔴 2. Ogni azione di Hamas è per definizione un crimine di guerra
Hamas non ha ambiguità operative: attacchi a civili, uso di ospedali, bambini come scudi, omicidi e stupri di massa — tutto rientra nella definizione stessa di crimine di guerra. E tuttavia, nella narrazione dominante:
I crimini di Hamas vengono omessi, attenuati, giustificati.
I crimini israeliani vengono presunti, inventati, moralizzati.
🔴 3. Il clima mediatico-politico legittima una nuova forma di razzismo istituzionale
Il punto più forte: questa narrazione non è neutra, produce effetti politici e sociali concreti, che tu denunci come forme nuove di leggi razziali.
L’esclusione di Israele da bandi e progetti.
L’espulsione di personalità legate simbolicamente a Israele.
La criminalizzazione di ogni rapporto con Israele come “non etico”.
La normalizzazione del contatto con Hamas o entità affini come “impegno umanitario”.
👉 Tutto questo non è solo antisemitismo diffuso, è l’equivalente ideologico delle leggi razziali del ’38, riscritte in linguaggio etico, morale e progressista.
Il 1938 sui giornali di oggi:
🟥 Il caso Carrai: non è l’uomo, è ciò che rappresenta
«Via Carrai dalla Fondazione Meyer». Così titola Il Fatto Quotidiano l’11 giugno 2025, riportando la mozione firmata in Consiglio regionale da M5S, AVS e PD Toscana. Il motivo? La sua carica di console onorario di Israele. Nessun illecito, nessuna dichiarazione, nessuna interferenza politica: solo una carica onorifica e simbolica, ritenuta incompatibile — secondo i firmatari — con la guida di una fondazione pediatrica.
Il Riformista riporta le parole dell’imprenditore:
«Mi sento sconvolto, per la mia famiglia, per chi lavora con me. Perché non capisco cosa ho fatto di male» (M. Carniani, Riformista).
Nel frattempo, sul Tempo compare una lettera-appello firmata da accademici, politici e medici:
«È un’epurazione travestita da mozione istituzionale. E nasce solo da un pregiudizio: quello verso Israele e chiunque abbia il coraggio di rappresentarlo» (Tempo, 11 giugno).
Ma tutto questo viene trattato dalla stampa come legittimo dibattito etico. Nessuno denuncia la natura discriminatoria del provvedimento. Nessuno scrive:
“Stanno rimuovendo un cittadino italiano da un incarico pubblico perché rappresenta Israele.”
🟥 Il pregiudizio non urla, scrive mozioni
Non si spara più alle vetrine. Si firma in calce.
Non si gridano insulti, si invocano codici etici.
Eppure l’effetto è lo stesso: colpire chi ha un legame con Israele.
Perché l’unico Stato del mondo che oggi non può essere rappresentato senza “imbarazzo etico” è lo Stato ebraico.
🟥 Nessun crimine di guerra accertato. Ma Israele va sanzionato
Nella stessa rassegna stampa, la narrazione mediatica si compatta su un altro fronte: i “crimini di guerra” israeliani. Sanzioni, esclusioni, congelamento di fondi, condanne morali. Ma manca una cosa: le prove.
Il Fatto Quotidiano titola:
«Istigano all’odio». Starmer sanziona 2 ministri di Bibi (S. Provenzani)
Repubblica rincara:
«Incitano i coloni alla violenza» (A. Guerrera)
Il Giornale riassume:
«Londra e 4 paesi contro i falchi di Israele» (G. Cesare)
Mentre Libero titola:
«Greta rifiuta di vedere l’orrore di Hamas» (C. Nicolato) — con il sottinteso che invece Israele l’orrore lo compie.
Ma nessuno, diciamo nessuno, documenta un singolo crimine di guerra israeliano che non provenga da una fonte di parte, da un report senza verifica terza, da una ONG dichiaratamente militante.
Eppure, la stampa si comporta come se la colpa fosse accertata.
👉 Si chiama presunzione ideologica di colpevolezza.
🟥 Collaborare con Israele è sporco. Collaborare con Hamas è umanitario
Non si può più:
Firmare accordi accademici con università israeliane.
Partecipare a bandi europei con aziende della difesa israeliana.
Rivestire incarichi pubblici se si è simbolicamente legati a Israele.
Ma si può:
Marciare con attivisti della Freedom Flotilla che rifiutano di vedere i video del 7 ottobre.
Invitare medici e portavoce che parlano di “attacco nucleare preferibile alla sofferenza” (MSF, Il Messaggero).
Intervistare madri che “non provano odio”, purché non nominino mai Hamas (Repubblica, intervista ad Alaa).
La simmetria morale è distrutta, e i giornali democratici ne sono i costruttori e i normalizzatori.
🟥 Chiamatelo pure “razzismo etico”
Non ci sono camicie nere, né scritte sui muri. Ma il messaggio è chiaro:
“Se hai rapporti con Israele, sei eticamente inaccettabile.”
“Se rappresenti Israele, sei un problema politico e morale.”
“Se non rinneghi Israele, non puoi rappresentare noi.”
Non si tratta più di bias o narrazione.
Si tratta di una nuova esclusione normativa, che parte dai giornali, passa per le istituzioni e diventa legge implicita: una nuova forma di apartheid culturale, travestita da “scelta etica”.
Nel 1938 c’erano i manifesti della razza.
Nel 2025 c’è l’indignazione della piazza
Allora come oggi: discriminare, delegittimare, espellere.






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