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ONU e Hamas aiuti

ONU e Hamas: non toccate quegli aiuti

Per la prima volta dall’inizio della guerra, migliaia di persone a Gaza stanno ricevendo cibo gratis, direttamente, senza doverlo comprare da Hamas né ottenerlo attraverso l’intermediazione di ONG e agenzie ONU. E l’ONU dice NO.

Per la prima volta dall’inizio della guerra, migliaia di persone a Gaza stanno ricevendo cibo gratis, direttamente, senza doverlo comprare da Hamas né ottenerlo attraverso l’intermediazione di ONG e agenzie ONU. E l’ONU dice NO.

Un sistema nuovo, basato su punti di distribuzione protetti, tecnologia di identificazione individuale e logistica coordinata da Israele e Stati Uniti, sta funzionando. Sta dando da mangiare.

Ma chi avrebbe dovuto esultare, protesta. Chi da mesi denuncia “la fame a Gaza” ora lancia l’allarme: non così, non da questi attori, non in questo modo. Perché?

Basta leggere i giornali italiani del 27 maggio per rendersi conto che l’intero racconto è stato capovolto. Gli stessi soggetti che per settimane hanno accusato Israele di bloccare gli aiuti, oggi attaccano il primo piano realmente operativo di distribuzione.

Il fronte del rifiuto
Nel Corriere della Sera, Greta Privitera riporta le dimissioni del CEO della Gaza Humanitarian Foundation, Jake Wood, come prova del fallimento morale del piano. La sua frase – «non è possibile mantenere i principi di umanità, neutralità, imparzialità» – diventa chiave interpretativa dell’intera operazione. Nessuna domanda sui risultati effettivi. Nessuna considerazione sul fatto che per la prima volta da mesi, la gente mangia senza ricatti e senza paura.

Il direttore dell’UNRWA, Philippe Lazzarini, definisce il nuovo meccanismo una “distrazione dalle atrocità” e “uno spreco di risorse”. Parole riprese con enfasi, senza contraddittorio, dallo stesso Corriere. Eppure lo scopo del piano – impedire che Hamas intercetti e rivenda gli aiuti – non viene mai discusso, né verificato.

Anche Avvenire, in un lungo pezzo di Nello Scavo, adotta lo stesso frame. Il piano congiunto Usa-Israele diventa una “frana”, un’operazione fatta di “scandali, denunce e minacce”, con implicito riferimento all’opposizione di Hamas. Le dichiarazioni dell’Onu e delle ONG critiche vengono riportate senza interrogativi. Non una riga, invece, per spiegare che chi riceve oggi aiuti lo fa direttamente, tracciabilmente e senza corruzione. O che migliaia di persone stanno sfidando le minacce di Hamas pur di poter mangiare senza passare da lui.
O meglio: senza passare dai terroristi e dai loro sgherri.

Su Repubblica, infine, l’accento è su un altro presunto pericolo: il meccanismo costringerebbe la popolazione a “inerpicarsi per chilometri attraverso le zone controllate dall’esercito israeliano” e “favorirebbe lo spostamento forzato verso sud”. Anche qui, non si menziona mai che prima il cibo era razionato da Hamas, venduto a caro prezzo o usato come leva politica, e che ora per la prima volta viene distribuito gratis, senza contropartite.

Un potere che vacilla
Il paradosso è lampante: quando gli aiuti non arrivavano, si gridava alla disumanità. Ora che arrivano, si grida allo scandalo. Chi li porta è accusato di politicizzare. Chi li riceve, di farsi strumentalizzare. Chi invece ha fatto degli aiuti un business decennale – come denunciato dallo stesso Segretario Generale dell’ONU – viene ancora descritto come custode della legittimità morale.

La verità è semplice e disturbante: la fame è stata per anni un potere. Hamas l’ha usata per finanziare sé stesso, UNRWA per perpetuare il proprio ruolo, le ONG per rivendicare visibilità e fondi. Oggi quel potere vacilla. E chi ha costruito la propria autorità su quella fame, non accetta che qualcun altro nutra le persone senza chiedere nulla in cambio.

La domanda da porre
Chi vuole davvero affamare Gaza?
Chi si oppone a un sistema che per la prima volta funziona, protegge i civili, e toglie al ricatto la gestione della sopravvivenza?
Chi difende oggi il vecchio ordine umanitario – fatto di mediazioni opache, lungaggini, blocchi e campi sotto controllo Hamas – si trova, consapevolmente o meno, dalla stessa parte di chi ha usato gli aiuti come arma di guerra.

Gli ostaggi, ora, non sono solo quelli nei tunnel.
Sono anche quelli in fila per il pane.
Liberarli – davvero – significa dare loro cibo. E libertà.

La redazione di Free4Future

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