Il sistema umanitario a Gaza funziona perché è organico al potere. E chi lo racconta, spesso, ne fa parte
A Gaza, le ONG non sono semplici comparse nel teatro dell’emergenza: sono parte dell’ingranaggio.
Portano fondi, redistribuiscono contratti, impiegano uomini che rispondono direttamente o indirettamente a Hamas. In molti casi, i confini tra operatori umanitari, funzionari locali e miliziani sfumano, fino a scomparire. Alcuni hanno persino partecipato, armi in mano, al massacro del 7 ottobre. Eppure, questo sistema intrecciato e opaco viene regolarmente presentato dalla nostra stampa come un blocco “umanitario” da difendere. Senza distinzioni, senza domande. Anzi: accade l’incredibile. I portavoce di questo sistema vengono trattati come se non ne facessero parte. Come se fossero altro. E in questo racconto, la stampa non solo assolve: si arruola.
C’è un fronte nella guerra di Gaza che non viene quasi mai raccontato: quello del potere simbolico delle ONG.
Nel racconto mediatico italiano, queste organizzazioni sono quasi sempre descritte come neutrali, competenti, umanitarie per definizione. Soprattutto se ostacolate da Israele.
Lo abbiamo visto chiaramente nell’articolo di Avvenire del 20 maggio 2025, firmato da Luca Liverani.
L’apertura del valico di Kerem Shalom viene raccontata come una vittoria morale del fronte umanitario, che si oppone con forza alla “privatizzazione” degli aiuti voluta da Israele e Stati Uniti. Parlano i rappresentanti della Mezzaluna Rossa, delle Nazioni Unite, e soprattutto i partecipanti alla Carovana Solidale per Gaza, promossa da AOI, Arci e Assopace Palestina. Il lessico è netto: “militarizzazione”, “strumentalizzazione”, “schedatura”. Le ONG, nel racconto, sono le ultime custodi del diritto umanitario.
Chi sono davvero queste ONG? Sono davvero neutre?
La Carovana “Gaza oltre il confine”: un’operazione politica
Dietro le sigle rassicuranti si muove un progetto chiaro.
La Carovana Solidale per Gaza, organizzata da AOI, Arci e Assopace Palestina, è partita il 13 maggio 2025 con obiettivi dichiaratamente politici:
rompere l’assedio su Gaza,
denunciare Israele per violazioni del diritto internazionale,
chiedere un cessate il fuoco permanente e la fine del blocco.
Non si tratta di un intervento umanitario in senso stretto.
Si tratta di un’azione di advocacy militante, accompagnata da parlamentari italiani, eurodeputati, giornalisti e membri dell’“intergruppo per la pace tra Palestina e Israele”. Le ONG aderenti non portano solo aiuti, ma un messaggio: Israele è l’ostacolo, non Hamas.
AOI: una rete, non un garante
AOI non opera direttamente sul campo.
È una rete di ONG italiane che coordina, promuove, legittima. Tra le sue membre troviamo realtà molto attive in Palestina, come:
Un Ponte Per, che lavora con comunità beduine e promuove il “dialogo interculturale”, ma è da anni impegnata in campagne contro Israele;
ARCS (Arci Cultura e Sviluppo), che agisce in continuità con le posizioni politiche dell’Arci;
Oxfam Italia, che ha accusato Israele di crimini di guerra e sostiene la ricostruzione di Gaza senza menzionare la presenza militare di Hamas;
CISS, ACS, Vento di Terra, EducAid: tutte realtà schierate nel linguaggio, nei progetti e nei collegamenti locali, spesso opachi.
La loro attività è sostenuta da finanziamenti pubblici (AICS, Unione Europea) e nessuno degli articoli che le cita si interroga su come vengano usati questi fondi, né sul loro impatto reale sul conflitto.
I partner locali: tra attivismo e ambiguità
Le ONG italiane operano sul campo in collaborazione con enti locali palestinesi spesso marcati politicamente. Alcuni esempi:
PCHR (Palestinian Center for Human Rights): ha documentato violazioni israeliane, ma ha connessioni ambigue con Hamas.
Badil: promuove il “diritto al ritorno” in chiave apertamente antisionista.
Al-Dameer: offre assistenza legale a detenuti palestinesi accusati di terrorismo, e sostiene “l’educazione alla resistenza”.
ARIJ: monitora gli insediamenti israeliani e riceve fondi europei, ma i suoi rapporti sono strumentalizzati nel discorso anti-israeliano globale.
Sono questi i partner delle ONG “buone”.
Nessuno di loro è neutrale. Eppure, nel racconto giornalistico italiano, sono protetti da un’aura di innocenza permanente.
Un doppio standard che paralizza la discussione
Quando Israele propone di affidare la distribuzione degli aiuti a un nuovo organismo (la Gaza Humanitarian Foundation, sostenuto da USA e Israele), la reazione mediatica è unanime: scandalo.
“Non si tocca il sistema umanitario classico”, dicono.
Ma nessuno si chiede se quel sistema sia stato efficace, né come abbia gestito la presenza armata di Hamas, né perché non abbia impedito l’intercettazione e il furto degli aiuti.
Le stesse ONG che oggi accusano Israele di strumentalizzare l’aiuto umanitario hanno operato per anni in territori controllati da Hamas senza mai denunciarne il controllo militare e repressivo.
Conclusione
Le ONG non sono sacre. Non sono al di sopra della critica.
Quando una rete come AOI organizza una carovana “solidale” con partner che parlano apertamente di apartheid e colonialismo, con l’obiettivo dichiarato di “rompere l’assedio”, non sta facendo solo umanitarismo: sta facendo politica.
E quando i giornali accettano senza fiatare questa rappresentazione come neutrale, non stanno raccontando: stanno coprendo.
La redazione di Free4Future
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