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Non tornerà

“Non tornerà vivo”: nessuna piazza per lui

Il silenzio “umanitario” sugli ostaggi. L’indifferenza di una piazza che ci tiene a rappresentarsi come etica di fronte all’ennesima barbarie di Hamas.

“Non tornerà vivo”. Con queste parole, il portavoce delle Brigate al-Qassam, Abu Obeida, ha lanciato l’ennesima minaccia pubblica. L’ostaggio israeliano Matan Zangauker è da mesi nelle mani di Hamas, e ora la sua vita viene usata come leva politica. “La responsabilità sarà di Israele” — così termina quello che viene definito da Hamas “l’ultimo avvertimento”.

La notizia è confermata da Times of Israel, Sky News Arabia e ANSA. Hamas ha anche diffuso la foto dell’ostaggio, un ragazzo israeliano, prigioniero da otto mesi. Nessuna prova di vita, ma una minaccia ben chiara. E il precedente non è ipotetico: ad agosto 2024, sei ostaggi israeliani furono giustiziati con un colpo alla nuca da Hamas, proprio mentre si avvicinava un’operazione di liberazione.

Oggi, 8 giugno, mentre la minaccia viene rilanciata da tutte le agenzie di stampa senza alcuna condanna, decine di migliaia di persone sfilano a Roma per Gaza.

Cortei immensi, bandiere palestinesi, appelli per la pace. Ma nessuna parola per Matan Zangauker. Nessuna per gli altri 59 ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas. Nessuna scritta, nessun nome, nessuna vita da ricordare.

Ecco lo squilibrio. L’informazione non è solo selettiva: è costruita. E la piazza, che si nutre di quella stessa informazione, si trasforma in un palcoscenico che riconosce solo alcune vittime e rimuove le altre.

Che cos’è una minaccia di morte se nessuno la considera?

Non è la prima, non sarà l’ultima. Ma è diventata irrilevante. Non fa più notizia. O peggio: fa notizia, ma non produce empatia. Nessun editoriale indignato, nessun tweet virale, nessuna lacrima. Il ragazzo israeliano che potrebbe essere giustiziato da un’organizzazione terroristica mentre il mondo lo guarda è diventato un punto cieco della coscienza pubblica.

Nel frattempo, la stampa rilancia e cerca consensi. Chi manifesta “per Gaza” evita accuratamente di nominare Hamas. Le testate che riportano la strage umanitaria ignorano sistematicamente chi ha iniziato la guerra e chi continua a detenere civili senza processo. E così, mentre si grida al genocidio, si tace sul sequestro. Mentre si parla di dignità, si ignora l’ostaggio. Mentre si chiede umanità, si legittima chi minaccia di uccidere.

È questa la grande anomalia dell’opinione pubblica occidentale: una compassione a geometria variabile, che non solo seleziona le vittime, ma giustifica i carnefici.

L’ultimo avvertimento, forse, non è solo quello lanciato da Hamas. Ma quello che noi lanciamo a noi stessi. Quando l’uccisione annunciata di un ostaggio non ci riguarda più, è il segnale che qualcosa si è rotto.

La disumanizzazione ha fatto il suo corso. E ha vinto. E con essa, ha vinto anche l’antisemitismo di ritorno, quello che si traveste da umanitarismo ma legittima i carnefici e cancella le vittime. Lo diffondono ogni giorno titoli, cortei, e leader che parlano di diritti mentre voltano le spalle agli ebrei.

Redazione Free4Future

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