Quando il giornalismo sa benissimo cosa sta facendo.
la Repubblica “Gaza, 13mila bambini uccisi. I sopravvissuti: ‘Viviamo nel terrore’”
“A Gaza i bambini non dormono più, non parlano più, non disegnano più.”
“13.000 bambini morti.”
“I sopravvissuti hanno visto morire genitori, fratelli, amici, compagni.”
Il pezzo pubblicato oggi da Repubblica non è solo un articolo. È una scelta politica.
Perché quando si racconta il trauma infantile di Gaza con questo impianto narrativo, non si sta più solo documentando il dolore: si sta costruendo col dolore una tesi.
Non una parola su Hamas.
Non una riga su chi governa Gaza.
Non un riferimento al fatto che i tunnel partono da sotto scuole e ospedali.
Non una domanda su perché quei bambini non siano stati evacuati.
Non un cenno al fatto che Gaza è il teatro di una guerra cercata, annunciata, ripetuta.
Tutto questo, Repubblica lo sa. Ma non lo scrive.
E se non lo scrive, non è per distrazione: è per scelta.
Perché così l’indignazione resta pura, e indirizzata dove deve: contro Israele.
E Hamas può restare il soggetto invisibile ma funzionale. Invisibile nel testo, funzionale alla narrazione.
È un meccanismo retorico ben oliato: si mostrano i bambini, si elencano le cifre, si evocano i traumi, ma si omette qualsiasi struttura causale. Così Israele è l’unico soggetto rimasto in scena. Il lettore arriva da solo alla conclusione. L’articolo non ha bisogno di sporcarsi le mani.
Il lavoro è fatto.
Questo non è giornalismo. È complicità travestita da cronaca. Complicità consapevole.
La redazione di Free4Future






Add comment