Di Uri Kurlianchik
Un popolo che sognava la pace ha finito la riserve di compassione. Dopo Oslo, dopo decenni di attacchi e violenze bestiali, fino al tragico punto di svolta del 7 ottobre 2023. Nelle opinioni pubbliche progressiste nessuno ha avuto comprensione e compassione per gli ebrei. Il messaggio era “la vostra esistenza è una colpa”. La pazienza di Israele è finita.
Ho sentito parlare molto di “disumanizzazione dei palestinesi”, quindi parliamone un attimo.
Prima di tutto, cosa significa? In parole povere, significa che gli ebrei non hanno pietà per i nemici arabi che vengono colpiti in questa guerra. Questo è per lo più vero. Anche gli occhi degli israeliani più miti si illuminano quando vedono un razzo colpire un lanciatore di Hezbollah o un blocco di edifici usati dai macellai di Hamas che viene abbattuto a Beit Lahia.
Fino a poco tempo fa non era così. Come si è arrivati a questo?
Un paese che cercava la pace
Quando ero ragazzo, Israele era un Paese di sinistra. Avevamo grandi manifestazioni per la pace, gli accordi di Oslo, tutti i nostri film di guerra erano dell’insipido genere “spara e piangi”, avevamo persino una materia chiamata “pace” nelle scuole! Le persone come me erano considerate dei pazzi marginali (a parte il fatto che allora sostenevo anche la soluzione dei due Stati, come tutte le persone civilizzate). Anche solo suggerire che non tutte le società volevano la pace era visto come volgare e poco educato.

Questa euforia di pace nata dagli accordi di Oslo è stata seguita da decenni di barbarie da parte degli arabi che hanno eroso le riserve di compassione del popolo ebraico. Sì, la compassione è una risorsa, ed è limitata.
Non è stato il risultato di un’informazione distorta o della propaganda antiaraba nei notiziari. I media, fermamente orientati a sinistra, hanno fatto di tutto per difendere gli arabi dopo ogni nuova atrocità, ogni nuovo massacro che sembrava difficile immaginare fosse stato compiuto da esseri umani, e le celebrazioni diffuse che ne sono seguite. Sempre più spesso la gente si chiedeva: “Dov’è questo partner di pace? Che tipo di società è quella con cui dovremmo vivere fianco a fianco?”.
Gli ebrei venivano fatti a pezzi a mani nude, i crani dei bambini venivano spaccati con le pietre, le bambine venivano massacrate nei loro letti, i ragazzini venivano massacrati nelle scuole, nelle discoteche, sugli autobus. La gente veniva mutilata, castrata, storpiata; non come danno collaterale, ma meticolosamente, con sadica precisione, da un nemico che sembrava preferire sempre prendersela con civili indifesi.
“By any means necessary”
E ogni volta, gli squartatori che compivano queste atrocità venivano celebrati come eroi dalle strade arabe e dai loro alleati progressisti. Quasi nessuno si è alzato e ha detto: “Ragazzi, ci sono leggi anche in guerra”. No, quando si trattava di colpirci, era sempre “by any means necessary”. Le leggi erano lì per impedirci di difenderci, mai per proteggerci.
Di volta in volta, anno dopo anno, decennio dopo decennio, gli arabi hanno prodotto una propaganda di atrocità che anche il più progressista dei pacifisti israeliani non è riuscito a trasformare in qualcosa di diverso da ciò che era: il ritratto di una società selvaggia.
Il cambiamento non è avvenuto subito. La gente ha iniziato a esprimere opinioni che non rientravano nella finestra di Overton (la finestra delle opinioni ufficialmente accettabili, NdT), per poi essere zittita dalla società educata. Poi la società educata ha iniziato a fare spallucce. Poi ha iniziato ad ascoltare.
La ferita del 7 ottobre
Poi è arrivato il 7 ottobre, la dimostrazione definitiva dell’atrocità, la barbarie suprema, registrata con dettagli così vividi e diffusa in modo così capillare che non c’era possibilità che qualcuno la ignorasse. Scioccati e feriti, gli ebrei che avevano ancora pietà impararono che gli arabi e i loro alleati progressisti non avevano pietà e nemmeno empatia per loro.
“Ve lo siete inventato! Ve lo siete fatti da soli! Erano solo obiettivi militari!” e altre forme di sadico negazionismo sono state scagliate con compiacimento contro una nazione in lutto. “Dove sono i 40 bambini decapitati, haha? Con o senza lievito, har har?”.
Il messaggio era semplice: “Non importa cosa vi succede, non meritate pietà. La vostra stessa esistenza è un crimine”.
Per molti questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È stato il momento in cui l’ultimo brandello di compassione per il nemico è evaporato e i cuori di tutti si sono induriti. Cuori di sopravvivenza. Cuori di guerra. Questo è ciò che intendono gli pseudointellettuali quando parlano di “disumanizzazione dei palestinesi”.
Questa pietà tornerà mai, o ci siamo infine trasformati in un nuovo tipo di nazione? Non lo so.
Quello che so è che quando tratti qualcuno senza pietà per decenni, non aspettarti che sia compassionevole nei tuoi confronti per sempre. Continua a comportarti con disumanità e prima o poi verrai disumanizzato.
Uri Kurlianchik è ebreo, sionista, rifugiato sovietico, israeliano, secchione, autore, escursionista, eclettico, notturno, trilingue, ascoltatore, osservatore, cinefilo, amichevole e vive in Israele. Lo trovate su Twitter come @VerminusM
È così