📌 Titolo originale
Testata: la Repubblica
Titolo: Il bambino senza braccia in un solo scatto tutti gli orrori di Gaza
Autore: Michele Smargiassi
Data: 18 aprile 2025
🧠 La narrazione deliberata
Non è solo una fotografia. È una scelta di campo.
Michele Smargiassi non si limita a raccontare uno scatto: lo canonizza. Lo eleva a icona assoluta del dolore, lo iscrive in una genealogia estetico-politica che inizia con Kim Phuc e passa per Alan Kurdi, My Lai, Biafra.
La logica è collaudata: seleziona una vittima che non può far discutere — un bambino mutilato — e la rende emblema universale della colpa di Israele. Senza dirlo mai esplicitamente, ma costruendolo per omissione.
È un’operazione ideologica, ma sottile.
Usa l’estetica dell’orrore per fissare un asse morale.
Cancella la complessità del conflitto.
Oscura il ruolo di Hamas.
Rimuove i morti israeliani.
Sostituisce l’analisi con la compassione guidata.
Chi guarda la foto non può dubitare, perché chi racconta non lascia spazio al dubbio.
La narrazione è deliberata. E la selezione del dolore è un’arma editoriale.
📸 L’immagine scelta
Mahmoud Ajjour, 9 anni, mutilato a Gaza.
Foto di Samar Abu Elouf.
Vincitrice del World Press Photo 2025.
❌ La rimozione attiva
Il 7 ottobre è ridotto a una riga senza immagini, né nomi.
Nessuna menzione del corpo di Yahel Bibas, 4 anni, ucciso dopo la cattura.
Nessun riferimento a Ofri Cotias, 4 anni, trovata morta con la madre a Kfar Aza.
Nessuna parola su Avigail Idan, 3 anni, rimasta accanto ai genitori uccisi prima di essere rapita.
I bambini israeliani non esistono. Non in questo articolo.
🧨 Il paradosso calcolato
Smargiassi cita Kim Phuc, Biafra, My Lai, Alan Kurdi.
Ma non mostra Yahel.
Non cita Kfar Aza.
Non nomina Avigail.
L’archivio dell’orrore è selettivo. E l’esclusione è una sentenza.
🔍 Il problema reale
La costruzione simbolica di una vittima unica.
La fotografia è vera. Il dolore è reale.
Ma l’uso che se ne fa è strumentale: serve a raccontare solo un lato del trauma.
Quello che conferma una tesi, quello che assolve chi scrive e condanna chi è già colpevole.
Non è informazione. È regia morale.
🎯 La manipolazione in atto
Si mostra un dolore e se ne cancella un altro.
Si premia un’immagine perché serve un racconto, non perché racconta tutto.
Si pretende di spiegare la guerra con una sola foto, ma quella foto non spiega: accusa.
🧷 Conclusione
Le fotografie non mentono. Ma chi le racconta può scegliere di farlo.
E quando la selezione è così unilaterale,
non siamo più davanti a un’immagine.
Siamo davanti a una sentenza visiva.
La Redazione di Free4Future
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