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La guerra dei farmaci. Quando i Comuni fanno politica estera sulla pelle dei cittadini

Dalle delibere contro i farmaci israeliani ai “boicottaggi etici” negli acquisti pubblici: come sindaci e giunte locali si trasformano in piccoli ministeri degli Esteri, mentre i cittadini pagano il conto.

Andrea Marrucci, sindaco di San Gimignano (SI)

A Pratovecchio Stia, due operatrici sanitarie gettano nel cestino farmaci dell’azienda israeliana Teva e si filmano mentre lo fanno. A San Gimignano, l’amministrazione comunale ordina alla farmacia municipale di sospendere la vendita di quei farmaci. A Sesto Fiorentino, mesi fa, un sindaco imponeva lo stesso tipo di misura ideologica: boicottare, in parte, i medicinali israeliani. In tutti i casi, il movente dichiarato è sempre lo stesso: Gaza. L’intento — dichiarato — è simbolico. L’effetto — reale — lo pagano i cittadini.


Così, da Nord a Sud, si moltiplicano delibere, atti, ordini di servizio, lettere di indirizzo con cui i Comuni italiani decidono di occuparsi di politica estera, come se si trattasse di rifare la segnaletica orizzontale. Il Comune come ambasciata improvvisata. La farmacia comunale come terreno di scontro geopolitico.
Ma c’è un problema: un sindaco non è un ministro degli Esteri. E una delibera comunale non è una risoluzione ONU. Le istituzioni locali hanno responsabilità concrete: garantire i servizi, non trasformare il bilancio partecipativo in un referendum ideologico.


Il caso di Teva è emblematico. Con 53 stabilimenti nel mondo, oltre 35mila dipendenti e più di 200 milioni di pazienti serviti, Teva è un gigante del farmaco equivalente, e produce medicinali essenziali, soprattutto per la terapia del dolore e le malattie neurodegenerative. In Italia, impiega 1400 persone. Ogni anno vende più di 100 milioni di confezioni. Ma è israeliana. E dunque, va esclusa. Boicottata. Cancellata.
Il risultato? Farmaci meno disponibili, costi più alti per il Servizio Sanitario Nazionale, disagi per i pazienti cronici e più fragili. Ma a quanto pare, per certi amministratori locali, la coerenza ideologica vale più della salute.


Questa guerra non è fatta di armi, ma di farmaci. Non si combatte nelle trincee, ma nei consigli comunali. Non colpisce i militari, ma i cittadini: gli anziani con la pensione minima, i pazienti oncologici, i malati cronici, i lavoratori delle aziende boicottate. Mentre si proclama la pace, si colpiscono i cittadini.
Perché non è Israele che si colpisce, ma l’Italia che si indebolisce. E in nome di un pacifismo solo apparente, si costruisce una macchina retorica che mira a colpire economicamente chi produce salute, per lanciare messaggi politici.


La guerra dei farmaci sembra simbolica, ma potrebbe diventare devastante. Fatta di determine dirigenziali, comunicati stampa, giunte entusiaste e consiglieri in cerca di visibilità. Una guerra in cui nessuno si prende davvero la responsabilità, ma tutti sono pronti a cavalcare l’onda. Sulla pelle dei più deboli.
Se qualcuno pensa che sia solo folklore amministrativo, sbaglia. È la trasformazione del potere locale in arma ideologica. È l’uso politico della salute pubblica. È la prova di quanto poco importino davvero i cittadini, quando la propaganda decide anche chi può curarsi e con cosa.

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