
Ci sono notizie che, per il solo fatto di esistere, mettono in imbarazzo chi ha costruito un’intera narrazione. È il caso della decisione di Israele di annunciare pause tattiche quotidiane e corridoi umanitari nella Striscia di Gaza, per facilitare il passaggio di cibo, acqua e medicinali. Una mossa che, secondo il World Food Programme, “può salvare vite umane” ed è stata accolta con favore da Onu, Unicef e da diverse cancellerie occidentali.
Eppure la stampa italiana, lungi dall’accogliere la notizia come un segnale di apertura, ha risposto in modo compatto con un riflesso condizionato: screditare, minimizzare, sospettare.
Una notizia positiva? Meglio negarla
Il Corriere della Sera (Nicastro, Finetti) si è distinto per il tono più cinico: “Israele apre aiuti? Troppo poco, troppo tardi”, “Emergenza alimentare: cifre da catastrofe”. Invece di registrare il fatto, lo interpreta immediatamente come tardivo, inutile, manipolatorio. Una mossa che serve solo a “convincere l’Onu che non ha colpe”.
Su Repubblica, la cronaca si tinge di sarcasmo: “Un’umiliazione quei pacchi scesi dal cielo” (Kholoud Jarada), mentre Fabio Tonacci titola che la “tregua non ferma la strage” — come se una pausa umanitaria, già di per sé parziale, dovesse magicamente azzerare un conflitto armato.
La Stampa non è da meno: “Pacchi dall’alto inutili e pericolosi” (Alessandro Colombo), “Cibo e sangue” (Nello Del Gatto), in un crescendo di immagini emotive e iperboliche. Nessuno che si fermi a dire: Israele ha autorizzato il passaggio di aiuti sin dall’inizio del conflitto. È un fatto concreto, nonostante la retorica diffusa.
Il problema semmai è che gran parte delle ONG e delle agenzie ONU non distribuivano cibo e medicine: i camion passavano, ma non arrivavano ai civili, erano tutti abbandonati sul lato gazawo. Ora, con le pause umanitarie giornaliere, il punto non è se Israele apre, ma se qualcuno è disposto davvero a entrare.
La narrazione prima di tutto
Il paradosso è evidente. Fino al giorno prima, le testate parlavano di fame, carestia, bambini pelle e ossa, emergenza senza precedenti. Il messaggio era chiaro: Israele sta affamando Gaza. Ma quando Israele apre i corridoi, la narrazione crolla. E allora si corre ai ripari: è troppo tardi, è una manovra d’immagine, è un trucco politico.
Persino le dichiarazioni ufficiali vengono liquidate come propaganda: Netanyahu accusa l’Onu di mentire (“i convogli sicuri ci sono sempre stati”), ma i giornali si rifiutano di considerare l’ipotesi che almeno in parte le critiche a Israele siano state alimentate da attori terzi — o da dati manipolati da Hamas.
La verità? Non basta mai per assolvere Israele
La stampa italiana è arrivata al punto di commentare una notizia positiva come se fosse una colpa. Aiuti paracadutati? Umiliazione. Corridoi sicuri? Tardivi. Tregua giornaliera? Insufficiente. E se Israele autorizza la costruzione di un acquedotto per 600mila persone a Gaza, come riportato anche dal Times of Israel, nessuna testata lo considera degno di titolo.
Si dirà: sono misure minime. Ma sono misure concrete. In un contesto dove tutti chiedevano fatti e non parole, ecco i fatti. Eppure, non si possono accettare, perché non confermano l’immagine di Israele come “il cattivo del film”.
La coerenza nel giudizio è il primo dovere di un’informazione onesta. La stampa italiana non vuole notizie. Vuole narrazioni. E quando la realtà le smentisce, preferisce negarle.






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