Ottolenghi: «L’Iran è uno Stato-mafia. E l’Occidente fa finta di non vedere»
Un’intervista densa e laterale su Il Riformista, che illumina una guerra invisibile: quella dei soldi, dei traffici e delle reti criminali su scala globale
Nel rumore costante della guerra – tra bombe su Haifa, retoriche nucleari e summit sfilacciati – arriva sulla stampa italiana una voce diversa. Non urla, non accusa, non mostra cadaveri. Ma propone un’esposizione precisa e inquietante di una guerra più silenziosa, più profonda. E forse anche più pericolosa.
È la voce di Emanuele Ottolenghi, intervistato sul Riformista da Davide Maria De Luca. Politologo, esperto di reti illecite e finanziamento del terrorismo, Ottolenghi lavora da anni con la Foundation for Defense of Democracies, un think tank che studia i legami tra sicurezza e flussi criminali. E lancia un allarme preciso: l’Iran non è solo un regime teocratico. È uno snodo centrale dell’economia criminale mondiale.
L’Iran, dice, ha costruito una vera e propria “infrastruttura del caos”, alimentando guerre e terrorismo grazie a narcotraffico, contrabbando di oro, carburante e armi, attraverso i Pasdaran e le reti collegate a Hezbollah. «Dal contrabbando d’oro in Africa al narcotraffico in Sudamerica, tutto passa per le reti dei Pasdaran», spiega. L’asse corre lungo corridoi oscuri: Siria, Libano, Paraguay, Togo. Ma le conseguenze si sentono ovunque. Anche in Europa.
Non è solo geopolitica, è geofinanza criminale. E nell’esposizione di Ottolenghi, il regime iraniano diventa l’architetto di un “ecosistema” in cui si incontrano le mafie, il terrorismo e gli apparati corrotti di mezza America Latina. Un sistema in cui si finanziano le guerre vendendo droga, si compra potere destabilizzando Stati deboli, e si nutre il jihad con contanti e silenzi.
Il punto centrale dell’intervista non è tanto la denuncia – di cui siamo saturi – ma la diagnosi. Secondo Ottolenghi, l’Occidente è colpevolmente distratto: guarda alle bombe, ma non segue i soldi. «Non possiamo vincere la guerra se non seguiamo i soldi», dice. E invita a cambiare prospettiva: l’Iran non è solo un problema diplomatico o militare. È un problema sistemico.
In un panorama mediatico dove Israele è spesso rappresentato come “potenza fuori controllo” e l’Iran come “vittima delle sanzioni”, questa intervista ribalta lo schema. Non chiede simpatia per nessuno. Ma pretende lucidità.
Il risultato è un testo che andrebbe letto con attenzione da chi oggi parla di cessate il fuoco, di mediazioni e di ricostruzioni. Perché non si può disinnescare una guerra, se non si disinnesca la rete che la finanzia.
La Redazione di Free4Future
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