Nel Manifesto del 4 aprile, Mario Ricciardi parla di una presunta “svolta autoritaria dell’Europa moderata”. Secondo l’autore, alcuni provvedimenti di espulsione adottati in Germania sarebbero il segnale di un nuovo clima repressivo. Tra le accuse citate: aver partecipato a manifestazioni o cantato slogan che, “secondo le autorità tedesche, sarebbero antisemiti”.
L’articolo prende posizione senza esitazioni: chi manifesta viene punito, chi si difende dall’attacco della violenza reprime. Il tutto senza mai entrare davvero nel merito. Non si distingue tra chi esprime un’opinione e chi sostiene, anche indirettamente, messaggi violenti o razzisti.
Eppure la distinzione esiste, e dovrebbe valere per tutti. Uno stato democratico ha l’obbligo di tutelare le libertà e di proteggere la collettività da chi usa quelle libertà per seminare odio, invocare la violenza o legittimare il terrorismo.
Nel testo non c’è spazio per questa complessità. Tutto viene ridotto allo schema binario oppressori vs oppressi. Le misure adottate da un governo diventano “persecuzioni”, la risposta della polizia è “repressione violenta”, le democrazie si trasformano in regimi oscuri che impongono un “credo politico”.
La fonte principale – e praticamente unica – è un articolo apparso sul Guardian, che diventa il pilastro di un ragionamento che travolge l’intera Europa. Dalle voci critiche si passa, senza soluzione di continuità, all’accusa collettiva contro Stati, governi, istituzioni.
Il risultato è un racconto sbilanciato, costruito per evocare allarmi più che per capire la realtà. Non ci si chiede se quei provvedimenti siano motivati o meno, non si vaglia la natura degli slogan, non si ascoltano altre voci.
Così, invece di informare, si crea uno scenario dove chiunque provi a difendere lo spazio democratico viene automaticamente sospettato di autoritarismo. E chi scende in piazza con messaggi d’odio diventa, senza domande, il nuovo eroe della libertà.
Non è informazione. È propaganda liberticida
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