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Genocidio

Il genocidio che si grida è falso. Quello che si prepara è vero

L’accusa di genocidio per fame non è solo falsa. È il dispositivo comunicativo attraverso cui si legittima un genocidio reale: quello che Hamas ha annunciato, promesso, e perseguito contro Israele.

L’accusa di genocidio per fame non è solo falsa. È il dispositivo comunicativo attraverso cui si legittima un genocidio reale: quello che Hamas ha annunciato, promesso, e perseguito contro Israele.

“Israele sta usando la fame come un’arma. È un crimine di guerra.”
(La Stampa, 13 maggio 2025)

“La carestia sarà inevitabile. Ridurre Gaza alla fame è un atto deliberato.”
(Domani, 13 maggio 2025)

Il messaggio è chiaro, ripetuto, compatto. E non ha bisogno di dimostrazioni: Israele, si dice, affama i bambini palestinesi deliberatamente. È un’accusa estrema, formulata come se fosse un dato certo. Ma questa certezza poggia su una costruzione fragile, ideologica, e pericolosa. Perché l’accusa di genocidio per fame non è solo falsa. È il dispositivo comunicativo attraverso cui si legittima un genocidio reale: quello che Hamas ha annunciato, promesso, e perseguito contro Israele.

Una tesi assoluta, senza prove


Nel giro di poche righe, La Stampa parla di “assedio”, “carestia”, “crimine di guerra”, e conclude: “Israele sta usando la fame come un’arma”. Il linguaggio non è più quello del giornalismo, ma quello di un tribunale morale che ha già emesso la sentenza.

Nell’articolo si raccontano storie strazianti — vere o verosimili — ma nessuna verifica, nessun dato reale, nessun confronto con i fatti sul campo. Non si dice, per esempio, che gli aiuti sono spesso bloccati, requisiti o intercettati da Hamas. Non si parla dell’accordo per la distribuzione diretta da parte degli Stati Uniti, ostacolato dalle milizie. Non si cita il ruolo dell’Egitto nella chiusura dei valichi.

Tutto viene ridotto a una colpa: “Israele ha sigillato la Striscia”, scrive Soffici. Una frase che omette tutto ciò che rende la situazione complessa — e che rende le responsabilità condivise. Ma la semplificazione non è un errore: è una strategia.

La fame come nuova accusa rituale
Descrivere Israele come affamatore di bambini non è solo una scelta narrativa. È il recupero di un pregiudizio antico, ripulito e aggiornato: quello dell’ebreo crudele, indifferente al dolore umano, disposto a far morire i piccoli per ottenere potere o vendetta.

Lo si vede nella selezione delle immagini e delle parole. Si raccontano sintomi (“le gambe si stavano spezzando”), si nominano le lacrime, si cita Rodari: “La lacrima di un bambino affamato pesa più di tutta la Terra.” Ma Israele non è più il rifugio di un popolo sopravvissuto al peggior crimine del Novecento. È il carnefice. È l’agente della fame. È l’anomalia etica.

Il frame è perfetto: chi affama non può essere difeso. Chi affama perde ogni diritto alla sicurezza, alla legittimità, alla sopravvivenza.

Una costruzione che cancella Hamas


Cosa colpisce di più, in questi articoli? L’assenza totale di Hamas. Il gruppo che ha sequestrato più di duecento civili, che ha usato scuole, ospedali e convogli umanitari per nascondere armi e uomini, scompare. Hamas non controlla, non ostacola, non impone nulla. Non è nemmeno citato come soggetto.

Il nemico unico è Israele. Non come Stato, ma come entità morale. Non come attore di una guerra, ma come fabbricatore di morte. Nessuno spazio per la realtà militare, nessuna analisi delle condizioni operative, nessuna distinzione tra blocco di Hamas e responsabilità israeliane.

Questa rimozione ha un effetto diretto: Hamas viene legittimato come mediatore della pace, mentre Israele viene delegittimato come soggetto di diritto. L’articolo di Domani lo rende esplicito: “Israele ha fallito, Hamas può negoziare”. Una lettura capovolta, eppure oggi prevalente.

I fatti che smentiscono la carestia


La narrazione della fame come genocidio si regge su una retorica emotiva, non su dati concreti. Basta esaminare le evidenze disponibili per notare almeno quattro elementi fondamentali — regolarmente ignorati o rimossi:

Non esiste un solo decesso confermato per denutrizione.
Nessuna organizzazione, nemmeno tra quelle critiche verso Israele, ha pubblicato un dato verificato che attesti morti per fame. Eppure si continua a parlare di “fame catastrofica” e “bambini che muoiono davanti agli occhi dei genitori”.

Secondo le statistiche palestinesi, la malnutrizione infantile è diminuita.
I dati ufficiali sui ricoveri pediatrici per malnutrizione mostrano un paradosso imbarazzante: ad aprile 2025 i bambini di Gaza risultavano meglio nutriti che prima della guerra. Questo non significa che la situazione non sia grave o fragile — ma significa che non c’è una carestia, né un trend coerente con le accuse.

Non esiste una sola fotografia collettiva che testimoni la fame.
In ogni vera carestia, dalle immagini dell’Etiopia agli orfanotrofi nordcoreani, la denutrizione appare in forma visibile e diffusa: occhi infossati, corpi scheletrici, masse affamate. A Gaza, no. I media trasmettono dolore, macerie, funerali, ma mai file di corpi devastati dalla fame. Non perché non si possano riprendere: ma perché non ci sono.

Ogni giorno vediamo mercati pieni di beni.
Video e foto quotidiane mostrano ortaggi, carne, legumi, pane, spezie in vendita nei mercati di Gaza, in tutte le città principali. Alcuni beni sono più costosi, alcuni inaccessibili a chi ha perso tutto — ma non c’è scarsità assoluta, né desertificazione alimentare. Questo è incompatibile con l’accusa di carestia deliberata.

L’attacco a Israele non è umanitario. È simbolico, retorico, politico. E funziona solo se si cancella la realtà. La carestia non c’è. Ma l’odio che la evoca, quello sì.
Ed è pronto a usarla come arma per compiere il genocidio che Hamas ha già dichiarato e promesso.

Il genocidio che si grida è falso.
Quello che si prepara è vero.
E Israele è il bersaglio.

La redazione di Free4Future

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