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Il Fatto Quotidiano: l’indignazione; l’articolo di Elena Basile e la fabbricazione della colpa

Nel suo intervento su Il Fatto Quotidiano del 30 marzo, Elena Basile non firma un’analisi, ma una requisitoria. Israele è uno “Stato canaglia” che viola il diritto internazionale dal 1967, l’Europa una complice priva di volontà, e le guerre – da Gaza all’Ucraina – strumenti interscambiabili di dominio globale.

“La guerra è senza obiettivi strategici, è pura tattica per aumentare i profitti delle lobby delle armi”

Questa è la chiave dell’intero impianto. Non c’è strategia, non ci sono attori razionali, solo una grande regia oscura: le élite, le lobby, l’1% contro “la gran parte delle classi lavoratrici”.

Il problema non è solo il contenuto, ma il metodo. L’articolo non verifica nulla: nessuna fonte, nessun dato, nessun tentativo di misurare le proprie affermazioni. Tutto si fonda su assiomi. “Israele attacca, l’Europa tace, le lobby comandano”. A ciascun attore è assegnata una funzione rigida: non ci sono contraddizioni, solo ruoli. È una struttura binaria, impermeabile alla realtà.

Anche il linguaggio riflette questa impostazione. È assertivo, carico, giudicante. I governi non sbagliano: “tradiscono gli interessi dei popoli”. L’Europa non è lenta: è “complice della disumanizzazione dei palestinesi”. La Shoah non è una memoria difficile: è una “copertura”, un alibi.

“Il senso di colpa tedesco ed europeo verso l’olocausto sta divenendo la base della complicità con altri crimini”

In questo schema, anche la diaspora ebraica viene evocata come parte implicita del problema. Non in modo diretto, ma con una formula retorica che la nomina negandola:

“Israele si autodefinisce Stato ebraico, malgrado il 20% della popolazione sia costituito da arabi musulmani. Chiama quindi in causa implicitamente la diaspora ebraica, che invece nulla ha a che vedere con i crimini commessi”

È questa ambiguità che permette alla frase di passare inosservata, mentre costruisce un campo semantico preciso: colpa collettiva, anche se non detta. Un modello comunicativo che conosciamo bene.

Infine, l’articolo si chiude con una sequenza in cui la stampa, gli intellettuali, l’Europa e persino la cultura democratica vengono messi sul banco degli imputati:

“Un massacro in diretta di cui l’Europa della democrazia e della libertà, mitizzata da Serra, Scurati, Benigni e i tanti intellettuali organici ai profitti delle lobby, è complice”

Qui l’indignazione cessa di essere uno strumento e diventa un fine: totale, senza sfumature, senza interlocutori. La realtà non viene spiegata. Viene interpretata attraverso una lente unica e irreversibile.

Eliminare il pluralismo, cancellare la complessità, portare ogni evento dentro una griglia precostituita: è questo il vero rischio. Il testo di Basile non spiega Gaza. La usa. E con essa, usa i lettori.

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