Free4Future
Hamas parlamento

Hamas trema, si difende in Parlamento: follow the money

In Parlamento si è discusso di Gaza. Cinque mozioni, tutte respinte.

Si è parlato di crimini di guerra, pulizia etnica, genocidio. L’opposizione ha lasciato l’Aula, è scesa in piazza, ha sventolato bandiere palestinesi. Sono stati letti i nomi dei bambini morti. Il governo è stato accusato di complicità.

Fin qui i fatti. Ma qualcosa non torna.

Il Parlamento diventa un’arena di interessi poco chiari.

Nessuno, però, si è chiesto da dove arrivino i dati, le immagini e i linguaggi che rendono possibile accusare Israele di genocidio e, di conseguenza, il governo italiano di complicità. Chi li produce. Chi li finanzia. Chi li accredita.

Eppure, sarebbe il caso di farlo.

In Italia, la dinamica è già in atto, anche se raramente nominata. Non se ne parla molto, ma alcune ONG attive in Palestina – Assopace Palestina, Un ponte per, ACS – ricevono fondi pubblici, italiani ed europei. Si occupano ufficialmente di aiuti e cooperazione. Ma spesso lavorano con partner locali collegati ad Hamas o al Fronte Popolare, due sigle che l’Unione Europea stessa considera organizzazioni terroristiche.

Nel 2023, Bruxelles ha riesaminato – e in alcuni casi sospeso – progetti finanziati proprio da questi canali, dopo segnalazioni su legami considerati opachi. Anche questo è documentato, anche se raramente riportato dai giornali italiani.

C’è poi il mondo universitario. Alcuni atenei italiani collaborano con ONG o centri di ricerca legati a UNRWA o a fondazioni come Qatar Charity. In alcuni rapporti della Commissione Esteri del Parlamento europeo (2022–2024), si citano anche casi italiani. Il documento parte da una richiesta tedesca, ma coinvolge anche altri paesi.

E l’informazione? È spesso lo specchio di queste connessioni. Testate come Domani, Il Manifesto, Avvenire – e in parte Repubblica e La Stampa – utilizzano un vocabolario fisso: apartheid, colonialismo, resistenza. Lo fanno citando ONG attive sul campo. Ma quasi mai dicono da chi sono finanziate o con chi collaborano.

Il risultato è che la narrazione sembra indipendente. Ma a volte parla con voce indiretta di attori che hanno interessi molto chiari. E quasi mai dichiarati.

C’è però un piano che resta fuori dal dibattito ufficiale. Ed è quello più strutturato di tutti.

Ma non tutto passa dai microfoni delle ONG e dalle immagini di ospedali colpiti. C’è un piano meno visibile, ma altrettanto potente, che agisce sotto la superficie: il piano dei soldi. In particolare, dei soldi che arrivano da Qatar e Iran.

Il Qatar da anni finanzia direttamente Hamas, questo è noto. Meno noto è che lo stesso Qatar versa milioni nelle università occidentali – Georgetown, Texas A&M, UCL – e mantiene una rete di influenza culturale e mediatica che va ben oltre Al Jazeera. Il suo soft power non si limita a sostenere Gaza: plasma il racconto. E spesso, quel racconto è quello che arriva fino a noi, già scritto.

In mezzo, molte organizzazioni occidentali, anche di buona fede, usano dati, immagini e narrazioni che arrivano da questo circuito. Senza sempre sapere chi le ha prodotte. E così, senza volerlo, ripetono contenuti nati in un sistema pensato per colpire Israele.

Non è un complotto. È una strategia. E funziona.

Altrove – in Francia, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada – si è già andati oltre. Cortei violenti. Ebrei cacciati dalle università. Aggressioni fisiche. Stanotte, negli Stati Uniti, un attentato: due persone uccise da un fanatico islamista.
In Italia, non è ancora così. C’è una minoranza aggressiva, radicalizzata, ma resta – per ora – una minoranza.

E allora la domanda è inevitabile: chi ha interesse a portare anche qui quello che già accade altrove?
Chi alimenta lo scontro? Chi gioca con il fuoco dell’odio, dell’isolamento, della discriminazione?
Perché ci sono partiti e movimenti che spingono in quella direzione?
Cui prodest?

La Redazione di Free4Future

free4future

Add comment