
C’è una petizione su Change.org — “Solidarietà a Mohammad Hannoun – Basta repressione contro chi sostiene la Palestina” — che chiede la revoca del foglio di via da Milano e l’archiviazione delle accuse di istigazione all’odio. A rilanciarla sono associazioni pro-palestinesi (Assopace Palestina di Luisa Morgantini, tra le altre) e una parte della sinistra italiana. Tra i nomi: Laura Boldrini e Stefania Ascari.
Chi è Hannoun? Presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia (API) e dirigente della ABSPP, Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese, sanzionata dal Tesoro USA nell’ottobre 2024 per presunti finanziamenti a Hamas. Nell’ottobre 2025 la Questura di Milano gli ha notificato un foglio di via per istigazione all’odio, dopo un comizio in cui aveva evocato la “legge del taglione”: «Chi uccide va ucciso».
Eppure, la solidarietà verso di lui resiste. Perché?
1. Per ideologia
Difendere Hannoun significa difendere un racconto. Nella sinistra post-identitaria la Palestina è diventata il simbolo assoluto del “bene oppresso”. Criticare chi la rappresenta equivale a tradire la causa. Da qui la difesa automatica: chi viene accusato di legami con Hamas è subito percepito come vittima del potere, non come propagandista dell’odio.
Hannoun è utile perché offre una scorciatoia morale: permette di sentirsi “dalla parte giusta” senza fare i conti con la violenza che legittima. La libertà di parola diventa il paravento di una solidarietà selettiva, dove l’antisemitismo è negato o minimizzato.
2. Per politica
Per una parte della sinistra, la causa palestinese è l’ultimo collante identitario rimasto. In assenza di un progetto sociale, la militanza anti-israeliana serve a marcare un’appartenenza e a ricompattare consenso. Difendere Hannoun è un gesto politico di sopravvivenza: ribadire il proprio posto nel campo dei “giusti”, anche a costo di ignorare le ombre.
Boldrini e Ascari ne sono esempi diversi: la prima parla di libertà di espressione, la seconda insiste sul frame umanitario. In entrambi i casi, l’obiettivo è evitare di apparire complici della “repressione discorsiva” contro la Palestina.
3. Per interessi
C’è infine un piano materiale. Le reti che ruotano intorno ad Hannoun vivono di campagne di raccolta fondi, missioni e partenariati che prosperano finché la narrazione resta intatta. Ammettere che l’ABSPP è stata sanzionata per presunti finanziamenti a Hamas significherebbe compromettere credibilità e canali di finanziamento. Difendere Hannoun, dunque, serve anche a proteggere un flusso di denaro, di relazioni e di posizioni acquisite nel mercato della solidarietà.
Difendere Hannoun non è un gesto di libertà, ma di convenienza: morale, politica e materiale. È il riflesso di un’Italia che ha smarrito la capacità di distinguere la resistenza dal terrorismo, la pietà dalla propaganda, la libertà dall’odio.






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