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Grossman, i Protocolli di Repubblica: rovesciate le dichiarazioni sul genocidio

Grossman non ha mai detto che c’è un genocidio, ma esattamente il contrario. C’è un limite che un giornale serio non dovrebbe superare: attribuire a un autore parole che non ha mai pronunciato.

C’è un limite che un giornale serio non dovrebbe superare: attribuire a un autore parole che non ha mai pronunciato. Eppure, ieri, la Repubblica lo ha travolto senza esitazioni. L’intervista allo scrittore israeliano David Grossman è stata titolata così: “Grossman: è genocidio. Mi si spezza il cuore ma adesso devo dirlo”. Parole pesantissime, che rimbalzano sui social come una conferma definitiva: persino il più noto scrittore israeliano accusa il suo Paese di genocidio. Peccato che sia una falsificazione.

A smascherare l’operazione è stato Iuri Maria Prado su Il Riformista. Nell’intervista, Grossman usa la parola “genocidio” più volte, sì, ma mai per dire che Israele stia compiendo un genocidio. Al contrario, ne spiega l’abuso, la pericolosità, l’effetto valanga: “È una parola valanga: una volta che la pronunci, non fa che crescere… porta ancora più distruzione e sofferenza”. Aggiunge che bisogna “uscire da questa associazione fra Israele e il genocidio”, perché non possiamo permettere che la parola venga manipolata da chi ha sentimenti antisemiti.

E allora, cos’è successo? È successo che la verità non serviva. Che un titolo onesto – “Grossman: difendiamo Israele da un’accusa impropria” – non avrebbe fatto il gioco. Meglio inventarsene uno, costruire l’effetto, infilarlo in bocca all’intervistato e consegnarlo al pubblico come verità.

È la logica dei protocolli di Repubblica: piegare le parole, rovesciare il senso, riscrivere la realtà per alimentare la narrativa giusta. Qui non siamo davanti a una svista, ma a una contraffazione deliberata, un’operazione che sfrutta il prestigio di Grossman per vendere l’accusa più grave che si possa muovere a Israele.

Una volta l’avrebbero chiamata falsificazione antiebraica. Oggi la chiamiamo informazione mainstream. Il metodo non cambia: se la realtà non aiuta a sostenere una campagna di odio, la si inventa o la si capovolge, come con le parole di David Grossman. Successo garantito.

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