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Flottiglia bianca

Flottiglia bianca, genocidio nero

Sudan non vale Gaza. Quando la selezione dell’empatia rivela la verità

Sudan non vale Gaza. Quando la selezione dell’empatia rivela la verità

C’è un’immagine che i media non hanno raccontato, un dettaglio assente nella narrazione della flottiglia di Greta Thunberg: mentre attraversava il Mediterraneo, la sua imbarcazione ha superato un barcone carico di rifugiati sudanesi. Donne, bambini, uomini in fuga da un genocidio che ha già ucciso quasi duecentomila persone e lasciato venti milioni senza accesso a cibo e acqua. Non si sono fermati. Non li hanno soccorsi. E non perché non li abbiano visti. Ma perché non facevano parte della storia da raccontare.

La flottiglia di Greta non è una missione umanitaria. È un dispositivo narrativo. Un atto politico in forma visiva, calibrato sulla grammatica della percezione occidentale. Gaza, in questo schema, è un teatro perfetto: simbolico, manicheo, con binari morali precaricati. Il Sudan no. Troppo scomodo, troppo reale, troppo privo di struttura comunicativa pronta all’uso.

Troppo nero, per una ciurma di bianchi privilegiati, in cerca di attenzione.

Nell’era dell’attivismo performativo conta chi guarda, non chi muore. La flottiglia non ha violato solo il diritto marittimo: ha infranto anche ogni principio di coerenza etica. Ha selezionato il dolore utile, al contatore dei like. Ha ignorato quello scomodo. Quello sudanese non produce indignazione immediata, non attiva l’applauso algoritmico, non rafforza le alleanze ideologiche che fanno curriculum.

Quello che trasportano, pochi sacchi di farina, per una Gaza che ne è già piena, non è aiuto. È munizione narrativa. Prodotta per ottenere visibilità, non conseguenze.

E quando una causa come quella sudanese mette in luce la loro incoerenza, questi attivisti scompaiono. Il loro silenzio è strategico. Il loro rumore è selettivo. Laddove la realtà impone scelte difficili, loro offrono solo estetica morale prefabbricata.

Questo non è attivismo. È una parodia dell’empatia. Una messinscena in cui Gaza diventa set, Israele antagonista d’obbligo, e ogni altra tragedia solo interferenza di disturbo.

Nella scelta di abbandonare al loro destino la barca dei profughi sudanesi troviamo la verità, non sulla politica, ma sulle persone. L’unico aggettivo possibile è: Infami.

La redazione di Free4Future

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