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Il woke

Dai Queers for Palestine a Speedy Gonzalez: come il woke ha perso la bussola

Inciampi e contraddizioni del woke, un’ideologia alla moda, che crede di difendere la giustizia ma manca completamente il bersaglio

Inciampi e contraddizioni di un’ideologia alla moda, che crede di difendere la giustizia ma manca completamente il bersaglio

Nelle sale consacrate del mondo accademico e nelle torri d’avorio delle élite del mondo si è radicato un fenomeno peculiare, che pretende di difendere la giustizia ma spesso manca completamente il bersaglio. Benvenuti nel mondo della cultura woke, dove la strada per una società più equa è lastricata di conseguenze indesiderate.

Già la parola in sé è antipatica, un anglismo tra i tanti non richiesti entrati a far parte dell’eloquio di “persone che sanno”. Sfogliamo un dizionario e cerchiamo di capire il suo significato. “Woke” proviene dallo slang americano e si riferisce a un’accresciuta consapevolezza su questioni sociali, in particolare della giustizia, associata ai diritti delle minoranze. Un atteggiamento personale che si è tradotto, su scala più ampia, nella “cancel culture”, ostracismo nei confronti di comportamenti, atteggiamenti percepiti come offensivi, una specie di caccia alle streghe. Non sono la stessa cosa, ma vanno a braccetto.

Una percezione, che in quanto tale, può essere a sua volta definita come l’organizzazione e interpretazione di sensazioni e stimoli e come tale ben lontana dall’essere oggettiva.

Riscrivere la storia: Un passatempo da “woke”

Nella loro zelante ricerca di riparare ai torti storici, alcuni accademici hanno iniziato a riesaminare il passato attraverso una lente aggressivamente “risvegliata”. Improvvisamente, ogni figura storica deve superare un test di purezza che renderebbe nervosi anche i santi. Avete mai avuto un pensiero problematico, pensato una parola non conforme, non utilizzato correttamente un acronimo? Via, nella pattumiera della storia!

Questo fervore revisionista ha portato a veri e propri effetti comicamente aberranti. Ad esempio, i ricercatori canadesi che studiano il DNA di antiche popolazioni si sentono ora obbligati a chiedere il permesso ai discendenti dei possessori dei teschi che stanno esaminando. Si può solo immaginare la conversazione: “Mi scusi, ma al suo trisavolo dispiacerebbe se ci riferissimo ai suoi resti come ‘Teschio #14’?”. Non è una boutade, è verità scientifica.

Forse la sindrome della cultura woke è più diffusa nelle università, quelle che stanno diventando da luoghi di confronto e discussione, a “fabbriche di dogmi” per citare Peter Boghossian, posti in cui sfidare certe idee equivale a pronunciare un’eresia davanti al tribunale della Santa Inquisizione.

In questo nuovo mondo, la priorità della ricerca non è più la conoscenza, ma l’avanzamento della giustizia sociale, della diversità e dell’inclusione. Obiettivi nobili, certo, ma c’è da chiedersi se Newton avrebbe scoperto la gravità se fosse stato troppo impegnato a controllare origini e ceto sociale della mela.

Nell’ardore da cavalieri senza macchia e senza paura di creare un mondo più giusto, i nostri signori della parola sembrano aver dimenticato un dettaglio cruciale: le stesse persone che dicono di difendere spesso non sono d’accordo con i loro metodi.

L’ironia è palpabile. Nel tentativo di creare una società più inclusiva, la cultura woke è riuscita a creare nuove forme di esclusione. Non siete d’accordo con la narrazione prevalente? Preparatevi a essere etichettati, cancellati ed esiliati più velocemente di quanto possiate dire “arriba, arriba, andale, andale”. Vi ricorda qualcuno?

Speedy Gonzales e gli altri

Chi ricorda l’amabile e velocissimo roditore dei Looney Tunes, Speedy  Gonzales? Critici benpensanti hanno tentato di cancellare questo amato personaggio, adducendo preoccupazioni sullo stereotipo del messicano. Ma chi è venuto in soccorso di Speedy? La stessa comunità che avrebbe offeso. È emerso che molti messicani americani vedono Speedy come un eroe intelligente che supera costantemente i suoi avversari. Sembra che gli autoproclamati guardiani della sensibilità culturale abbiano dimenticato di consultare coloro che sostengono di proteggere.

Ma Speedy non è solo. I libri per bambini e le fiabe sono le ultime vittime dell’insaziabile appetito di indignazione della cancel culture. Nessuna storia è al sicuro dall’occhio vigile della polizia del woke.

Il primo a essere tagliato è  Roald Dahl, creatore di personaggi come Willy Wonka e Matilda. A quanto pare, il fatto che Charlie Bucket non avesse come amico un Oompa Loompa non binario è motivo di preoccupazione. Puffin Books, nella sua infinita saggezza, ha deciso di riscrivere i classici di Dahl per eliminare un linguaggio offensivo come “grasso” e “brutto”. Perché il cielo non voglia che i bambini imparino che a volte le persone possono essere descritte usando degli aggettivi. Siamo sicuri che definirli “morbidi” e “con un fascino unico e portatore di diversità estetica” renderebbe il libro più accattivante per i nostri virgulti?  In realtà la Puffin Books nella maggior parte dei casi ha semplicemente rimosso gli aggettivi incriminati.

Ma perché fermarsi ai singoli autori quando possiamo prendere di mira interi generi? Le fiabe classiche sono ora sotto accusa per la promozione di idee dannose come “l’innamoramento a prima vista” e l’idea radicale che alcuni personaggi possano essere più attraenti di altri. Una nota casa editrice ha assunto figure specifiche, una sorta di “lettori sensibili” per garantire che nessun bambino debba mai subire l’indegnità di leggere di una principessa che non ha potere o di un principe che non è sufficientemente diverso.

Per coloro che ritengono questi cambiamenti insufficienti, non temete! Alcuni individui lungimiranti in Canada hanno preso in mano la situazione bruciando i libri ritenuti offensivi. Perché niente dice “progresso” come un buon vecchio rogo di libri, giusto?

In nome della cultura woke si fanno anche matrimoni di convenienza. Alcuni astuti strateghi dell’estremismo islamico hanno capito che per conquistare i cuori (e le menti) dell’Occidente, bisogna parlare la lingua del momento. E quale lingua più trendy del wokese? Eccoli quindi stringere alleanze con gruppi  progressisti, in un abbraccio che fa strabuzzare gli occhi per la sua improbabilità. Ma non finisce qui! Il wokismo, nella sua infinita saggezza, ha deciso di adottare il terrorismo palestinese come il cucciolo abbandonato, coccolandolo e difendendolo con fervore. Poco importa se alcuni valori non proprio si allineano; dopotutto, chi siamo noi per giudicare?

E così, in questo bizzarro teatrino, vediamo critiche feroci a Israele (quel cattivone che osa difendere diritti LGBTQ+ e delle donne) mentre regimi meno… diciamo, “progressisti” ricevono pacche sulle spalle e sorrisi comprensivi. È come se il manuale del perfetto woke avesse un asterisco che dice: “Regole da applicare con flessibilità quando si tratta di terrorismo”.

Nella cultura totalitaria che divide “popoli vittime” da “popoli oppressori” tutto può diventare “liberante”, compreso il patriarcato, il femminicidio. E i/le Queer for Palestine danzano felici per un regime che le/li condanna a morte per il solo fatto di esistere. Un altro miracolo dell’ideologia alla moda, un’altra capriola woke (dal tetto) che sostituisce il pensiero.

In conclusione, è chiaro che l’unico modo per proteggerci dagli orrori del contesto storico è quello di igienizzare ogni evento, opera letteraria, ogni racconto fino a renderlo insipido e inoffensivo come il tofu non condito. Dopo tutto, perché preoccuparsi di insegnare il pensiero critico quando possiamo semplicemente cancellare tutto ciò che potrebbe richiederlo?

La Redazione di Free4Future

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