E’ naturale provare invidia per Alessandro Di Battista. Non è da tutti riuscire a trasformare l’indignazione in un mestiere così redditizio. Un talento raro, il suo: vivere agiatamente senza aver mai prodotto nulla di concreto, se non un flusso continuo di invettive calibrate ad arte per ottenere visibilità e sostentamento.
Bravo, bravissimo
La sua è una storia che meriterebbe di essere studiata nelle business school.
Mentre noi ingenui ci ostiniamo a costruire competenze, lui ha capito che bastava urlare più forte degli altri. Un genio, in fondo: ha intuito che nell’era dei social la verità è un optional, l’importante è l’indignazione. Meglio se accompagnata da quella giusta dose di italico vittimismo che non guasta mai.

Guardate la sua capacità di reinventarsi. Da parlamentare ben stipendiato ormai certo della pensione a reporter globe-trotter, sempre pronto a dispensare verità rivelate da qualche angolo remoto del pianeta. Guatemala, Iran, Russia. Conoscere la storia dei posti di cui parla è un di cui. L’importante è apparire come il profeta che svela i complotti nascosti, possibilmente a spese del Fatto Quotidiano.
La sua vera arte è quella di solcare il mare dell’antipolitica senza mai bagnarsi. Un talento sopraffino nel criticare tutto e tutti senza mai dover rispondere di nulla. Vivere di slogan si può, dribblando la complessità della realtà. Quando qualcuno gli chiede quale sia la sua visione costruttiva dell’Italia si rifa alla democrazia diretta sul modello svizzero, ma senza spiegare come realizzarla. E se gli domandano dei programmi risponde che la democrazia rappresentativa è un imbroglio. Un colpo da maestro.
Mantenendosi fedele alla sua immagine di “ribelle” ha lasciato il M5S quando è diventato troppo “istituzionale”, ha criticato Di Maio quando è diventato troppo “sistemico”, ha attaccato Conte quando ha sostenuto Draghi. Una coerenza perfetta nel suo essere perennemente contro, che gli ha garantito un seguito fedele di ammiratori dell’anti-tutto.
Un pulpito retribuito
Il suo immenso talento si è dispiegato nel riuscire a costruirsi una carriera attaccando il “sistema” pur essendone perfettamente parte. Da parlamentare che gridava contro i privilegi della casta (intascando però tutti i rimborsi), a opinionista che denuncia i “media mainstream” proprio mentre viene lautamente pagato per apparirvi.
Mentre i normali si ostinano a studiare per anni per guadagnarsi il diritto di parlare in pubblico, lui ha capito che basta un po’ di retorica ben condita con qualche “verità scomoda” per riempire teatri a 28,50 euro a biglietto parlando di Assange. Eccezionale.
La vera magia sta nel suo essere diventato esperto universale senza alcuna credenziale. Dal conflitto israelo-palestinese alla politica internazionale, dalle questioni economiche alle crisi umanitarie – non c’è tema su cui non si senta in dovere di pontificare. Ma il vero capolavoro è che c’è chi lo prende sul serio.
Il meglio di sé stesso lo ha dato nel costruire una carriera sull’arte del non fare. Non ha mai organizzato movimenti, non ha mai gestito strutture politiche, non ha mai dovuto confrontarsi con la fatica del costruire. O con la fatica di sapere cosa sia un progetto di sterminio, un genocidio, prima di denunciarne uno. E di equiparare chi se ne difende, a chi lo progetta e cerca di realizzarlo.
Ma forse invidiarlo è un errore. Perché invidiare chi ha fatto del vuoto pneumatico la sua professione? Chi ha elevato l’ignoranza a virtù e l’arroganza a metodo?
Niente invidia per questo eterno adolescente che pontifica dal suo pulpito dorato, questo chansonnier dell’”anti” che vende la sua mercanzia al miglior offerente. L’emozione che suscita è più un misto di fascinazione e disgusto, come quando si osserva un incidente stradale e non si riesce a distogliere lo sguardo.
Perché in fondo Di Battista è il perfetto prodotto dei nostri tempi: l’incarnazione di un’epoca in cui non serve sapere, basta apparire; non serve studiare, basta urlare; non serve costruire, basta demolire. Un’epoca in cui si può vivere – e vivere bene – vendendo fumo e raccogliendo applausi.
Ma d’altronde, come dargli torto? In un paese dove l’incompetenza è diventata virtù e l’ignoranza un vanto, lui ha semplicemente perfezionato l’arte di trasformare il nulla in oro.
Chapeau, Dibba. Chapeau.






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