Saul Sadka, esperto analista di geopolitica mediorientale, offre una prospettiva sorprendente sulle future dinamiche del Qatar, un paese che oggi appare significativamente isolato dopo il recente conflitto in Medio Oriente.
Negli ultimi anni il Qatar ha perseguito una strategia estremamente sofisticata e complessa. Ha finanziato massicciamente Hamas, diffuso la propria influenza attraverso la rete di Al Jazeera e investito strategicamente in istituzioni e media occidentali. Questa politica mirava a ottenere un’influenza rilevante in Occidente, puntando su centri nevralgici come il Dipartimento di Stato americano, università prestigiose quali Georgetown, e importanti canali d’informazione. Al Jazeera, in particolare, ha formato un’intera generazione di giornalisti e ha acquisito grande peso sia nei media di destra che in quelli di sinistra. Quando non è stato possibile acquisire direttamente una testata, il Qatar ne è diventato un partner pubblicitario essenziale.
Il Qatar ha anche finanziato gruppi capaci di influenzare la percezione degli ebrei, rendendola una questione controversa tanto a sinistra quanto a destra, miscelando antichi pregiudizi religiosi e teorie pseudo-marxiste moderne. Ha cercato e ottenuto influenza attraverso giornalisti, influencer e magnati, mantenendo contatti e finanziamenti diretti con figure rilevanti in Occidente e anche con i loro entourage.
Parallelamente, Doha ha adottato un approccio ambiguo anche verso l’Iran. Pur offrendo una copertura diplomatica utile allo sviluppo nucleare iraniano, non voleva realmente che Teheran si dotasse di armi nucleari. La minaccia nucleare iraniana era piuttosto uno strumento politico per indebolire Israele, consentendo al Qatar di giocare il ruolo del mediatore “benevolo” in una regione estremamente instabile.
Tuttavia, il recente conflitto ha evidenziato chiaramente i limiti di tale strategia. L’Iran, ambiguo partner del Qatar, ha attaccato con missili le basi statunitensi presenti in territorio qatariota, rivelando la fragilità del delicato equilibrio mantenuto da Doha tra soft power occidentale e minaccia nucleare iraniana.
Secondo Sadka, questa situazione ha portato il Qatar in un punto morto. Un paese con una popolazione limitata di soli 300.000 abitanti, nonostante la sua grande ricchezza derivata dal gas, può infatti spingersi solo fino a un certo punto affidandosi esclusivamente a mercenari e influenze acquisite, che non garantiscono fedeltà duratura.
Sadka evidenzia come questa politica estremamente astuta abbia antagonizzato quasi tutte le parti in gioco, e con la perdita della principale leva di potere – la minaccia nucleare iraniana – il Qatar si trova ora ad affrontare un pericoloso isolamento. L’attuale scenario geopolitico potrebbe però rivelarsi un punto di svolta inatteso e quasi obbligato: l’adesione del Qatar agli Accordi di Abramo e una nuova e formale alleanza con Israele, unica forza militare realmente in grado di assicurare stabilità e sicurezza regionale dopo il progressivo ritiro degli Stati Uniti.
Sadka conclude suggerendo che il Qatar potrebbe utilizzare questa crisi per giustificare davanti al proprio popolo un drastico cambiamento di politica. Tale scelta, radicalmente diversa rispetto al controverso sostegno a Hamas e alla politica ambigua verso l’Iran, rappresenterebbe una svolta necessaria per assicurare la sopravvivenza e la stabilità a lungo termine del paese.
In definitiva, Sadka sostiene che l’attuale crisi potrebbe essere una benedizione sotto mentite spoglie per il Qatar, costringendo finalmente Doha a un realismo politico che la porterebbe a stringere un rapporto aperto con Israele, isolando ulteriormente Hamas e segnando un decisivo cambiamento nello scacchiere mediorientale.
La redazione di Free4Future






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