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Atomica

Se l’atomica fumante non basta

Come la stampa italiana rimuove il vero allarme atomico

Come la stampa italiana rimuove il vero allarme atomico


In Iran l’arricchimento dell’uranio ha superato la soglia del 60%. Secondo l’AIEA, si tratta di uno sviluppo allarmante, “non giustificabile con scopi civili”, che avvicina Teheran alla possibilità tecnica di produrre un ordigno nucleare. Non è un’opinione politica: è un dato tecnico: una “pistola fumante”.
Eppure, nella stampa italiana, il quadro si ribalta. Il problema non è l’Iran. Il problema è Israele che “grida al lupo”, per coprire le sue intenzioni belliche.

Il dato che scompare

Nessuno dei principali quotidiani italiani affronta con chiarezza il fatto centrale: l’arricchimento dell’uranio oltre il 20% è già una soglia preoccupante; oltre il 60% è chiaramente orientato a fini non pacifici. L’uranio utilizzato nelle centrali civili si ferma al 3-5%.
Le testate che si occupano della questione parlano di “pretesti”, “strategie” e “provocazioni”, ma non citano mai i livelli di arricchimento.

“Israele grida al lupo per coprire le sue operazioni oltreconfine. Non ci sono prove di un’arma atomica in costruzione”
(Il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2025)

Questa affermazione, che sembra una difesa d’ufficio del regime iraniano, omette un dato cruciale: non serve avere già una bomba pronta per rappresentare una minaccia nucleare.
Basta dimostrare di poterne costruire una in tempi rapidi. E l’Iran ha già superato quella soglia.

Il progetto che scompare

Ma la vera omissione non è tecnica: è politica. L’Iran non è un generico “attore regionale” con ambizioni geopolitiche. È uno Stato teocratico che ha scritto nella propria Costituzione la distruzione dello Stato di Israele.
Dal 1979, ogni guida suprema ha ripetuto lo stesso messaggio: “Israele è un tumore da estirpare”. Le milizie sciite che arma in Libano, Siria, Iraq e Gaza sparano da anni contro obiettivi israeliani. Non una volta, non in risposta. Ogni giorno.

È come un ubriaco fuori controllo che ti urla da anni che ti ammazzerà, che si è procurato una pistola e ci sta infilando dentro i proiettili.
E i giornali italiani ti dicono che preoccuparsi è “prematuro”, che “stai cercando un pretesto”, che forse “vuoi distogliere l’attenzione” da qualcos’altro.

La strategia della minimizzazione

Domani dedica ampio spazio alla denuncia israeliana, ma la rovescia in chiave sospettosa. Il punto non è se Teheran stia sviluppando capacità nucleari, ma se Netanyahu stia “esagerando” per ottenere consenso:

“Le centrifughe di Fordow non giustificano un attacco. Netanyahu cerca solo un pretesto”
(Domani, 20 giugno 2025)

Il rischio atomico scompare. Al suo posto, una lettura psicologica: Israele non agisce per difesa, ma per “spostare l’attenzione” dalla crisi interna. È il classico schema dell’intenzione nascosta, che trasforma la sicurezza nazionale in una trovata comunicativa.

Le mezze verità dei prudenti

Anche i giornali che trattano il tema con maggiore prudenza scelgono comunque di non esplicitare l’evidenza tecnica. Avvenire riporta il comunicato dell’AIEA in tono sommesso:

“L’Aiea chiede vigilanza, ma i canali diplomatici restano aperti”
(Avvenire, 20 giugno 2025)

Sparisce il fatto che l’arricchimento al 60% è già stato raggiunto. Sparisce che Teheran ha rifiutato l’accesso a diversi siti sensibili.
Sparisce, soprattutto, la domanda fondamentale: a cosa serve l’uranio ad alto arricchimento, se non a fini militari?

La bomba invisibile

Il risultato è un paradosso informativo. La bomba iraniana è invisibile, nonostante le prove tecniche e ideologiche.
A occupare la scena è la retorica su Israele: aggressivo, manipolatore, ossessionato dalla guerra. Il fatto che un regime che proclama lo sterminio di Israele da 45 anni si stia avvicinando alla bomba atomica, viene trattato come dettaglio secondario.

Il nemico diventa chi lo denuncia.

Così si costruisce una realtà capovolta. Una realtà in cui l’Occidente deve moderarsi, Israele deve “abbassare i toni”, e l’Iran può arricchire l’uranio quanto vuole, purché non lo chiamiamo bomba.

E allora la domanda è un’altra
Davvero i giornalisti e gli opinionisti italiani non sanno chi è l’Iran?
Davvero non ricordano le bandiere israeliane bruciate, i droni su Tel Aviv, gli arsenali di Hezbollah?
Davvero non vedono che chi minaccia lo sterminio sta caricando l’arma?

O forse lo vedono benissimo — e scelgono comunque di raccontare un’altra storia.
Perché ci credono davvero? Perché odiano Israele? Perché qualcuno glielo chiede?
O, più semplicemente: per tutte e tre le cose

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