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Hamas Inside

Quando l’informazione lavora per Hamas. E non se ne accorge nemmeno

11 maggio 2025: tre articoli, tre testate, un solo risultato: entrare perfettamente nel frame comunicativo di Hamas.

11 maggio 2025: tre articoli, tre testate, un solo risultato: entrare perfettamente nel frame comunicativo di Hamas.

Repubblica, Domani e Corriere della Sera riescono, ciascuno a modo suo, a diffondere i concetti-chiave della propaganda del movimento palestinese, senza mai nominarlo davvero. È il trionfo della mimetizzazione: nessun portavoce con il kalashnikov in spalla, solo editorialisti colti, analisti indignati e leader politici impegnati. Ma il messaggio è sempre lo stesso: Israele è colpevole, la sua esistenza è un problema e la sua eliminazione può essere giustificata, se non proprio auspicata.

Iniziamo dal Corriere della Sera, che riprende l’appello del Comune di Marzabotto — sostenuto da esponenti del PD — per una manifestazione “pro-Gaza”. Il comunicato ufficiale, riportato nel pezzo di Davide Frattini, parla di “genocidio”, “pulizia etnica”, “deportazione” e accosta esplicitamente la strage nazista del 1944 al comportamento dell’esercito israeliano. Questa operazione retorica non è solo una forzatura storica e un insulto alle vittime vere: è esattamente la narrazione che Hamas desidera. Equiparare Israele ai nazisti consente di eliminare ogni legittimità alla sua esistenza. Se Israele è un “regime genocida”, non si tratta più di difendere i palestinesi, ma di cancellare un regime criminale. Hamas, nei suoi documenti ufficiali, lo dice esplicitamente. Il Corriere lo scrive implicitamente, ma con lo stesso esito.

Passiamo a Domani, dove Sergio Labate firma un editoriale intitolato: “Caro Galli della Loggia, su Gaza il tuo Occidente ha la lingua mozzata”. L’articolo è un attacco diretto non solo a Israele, ma al concetto stesso di civiltà occidentale. Israele viene descritto come “pronto a deportare i palestinesi di Gaza”, l’Occidente come un’entità ipocrita e decadente, che ha perso anche la capacità di provare vergogna. A Gaza, secondo Labate, si rivela “la pura forza” dell’Occidente che ha rinunciato ai diritti umani. Anche qui il frame è perfetto: Hamas come specchio della colpa occidentale, Israele come simbolo del dominio da abbattere. Nessuna menzione al 7 ottobre, nessuna parola sui bambini israeliani rapiti, nessuna nota sulla strategia deliberata di Hamas di usare i civili come scudi. Tutto si concentra su un Occidente che, se vuole salvarsi, deve smettere di difendere Israele.

Chiude il cerchio Repubblica, che racconta la missione di Trump nel Golfo nel pezzo di Alberto Simoni. Tra miliardi di dollari, Boeing dorati e vertici tecnologici, l’articolo riporta un dettaglio chiave: gli Stati Uniti starebbero negoziando direttamente con Hamas, proponendo un cessate il fuoco di 90 giorni in cambio di 13 ostaggi. Alla fine del processo, si legge, ci sarebbe “il riconoscimento della partecipazione di Hamas al governo della Striscia”, purché rinunci al terrorismo. Questa è la normalizzazione perfetta. Hamas non deve pagare per le sue stragi, non deve nemmeno cambiare struttura o ideologia: basta che dichiari di non fare più terrorismo, e potrà governare. Il linguaggio diplomatico sostituisce il linguaggio giuridico e morale.

Tutto torna: il frame comunicativo di Hamas

La comunicazione di Hamas funziona così:

Costruisce un immaginario simbolico di vittimizzazione assoluta (genocidio, deportazione, pulizia etnica);

Sostituisce il conflitto con un racconto morale: Israele è il Male, i palestinesi sono l’Innocenza;

Lavora per legittimare la distruzione dello Stato di Israele, non come atto terroristico, ma come esigenza di giustizia;

Trasforma i giornali occidentali in strumenti di amplificazione di questi concetti.

Il risultato? Tre articoli su tre ripetono, senza accorgersene o senza preoccuparsene, esattamente la narrazione che Hamas vuole far passare in Occidente. Chi guarda questi articoli dall’esterno non ha dubbi: il discorso pubblico europeo è entrato nel linguaggio e nella logica di Hamas. E la cosa più inquietante è che lo ha fatto in nome della libertà, dei diritti umani e della giustizia.

Per Hamas, è il massimo risultato con il minimo sforzo: un microfono spalancato nel cuore del dibattito europeo. Il problema non è chi spara, ma chi scrive.

La redazione di Free4Future

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