Il linguaggio ha una funzione. E il suo uso coordinato a volte rivela il peggio.
Accusare Israele di genocidio non è solo una bugia. È un’operazione costruita a tavolino. Non nasce tra gli studenti. Né tra i pacifisti. Comincia il 7 ottobre. Proprio mentre Hamas massacra civili. Lo fa mentre brucia case, rapisce neonati, filma le esecuzioni.
E intanto, parte la seconda offensiva: quella sul piano mediatico.
Il meccanismo è semplice: ribaltare la narrazione. Chi aggredisce si presenta come aggredito. Chi colpisce diventa vittima. E chi ha subito un pogrom, diventa l’autore di un crimine peggiore.
Perché per sostenere tutto questo serve una parola potente. Una sola parola: genocidio. Ma usata al contrario. Diretta contro Israele.
Quella parola comincia a circolare subito. La raccolgono media, intellettuali, commentatori. Nessuno si ferma. Nessuno contesta. Nessuno ricorda che il 7 ottobre non è una reazione: è l’inizio. È il primo atto. Il resto viene dopo.
Così, giorno dopo giorno, la parola “genocidio” smette di indicare chi lo ha minacciato davvero – Hamas – e viene cucita addosso a chi ne è stato bersaglio.
Nel caos di immagini, numeri e retorica, la stampa inizia a fare da amplificatore. Alcuni con intenzione. Altri forse no. Ma il risultato non cambia.
Abbiamo raccolto gli articoli pubblicati il 9 maggio 2025. E messo a fuoco il quadro.
Tabella – Come la stampa rafforza il piano genocida di Hamas

Hamas non ha mai nascosto l’obiettivo: distruggere Israele. Lo ripete. Lo scrive. Lo rivendica. Ma intanto, nel discorso pubblico, la narrazione si capovolge. Israele passa per carnefice. E chi lo vuole cancellare, diventa voce di un’umanità ferita.
In questa tabella, si vede come la stampa contribuisce – spesso senza rendersene conto – a rendere accettabile ciò che Hamas dichiara apertamente. Ogni articolo rafforza, legittima, o rende più digeribile l’idea che Israele sia colpevole di un crimine assoluto. E quindi, implicitamente, che la sua eliminazione sia un atto di giustizia.
È così che la disumanizzazione entra dalla porta principale. È così che un’accusa falsa diventa strumento per preparare un’aggressione vera.
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