Elena Ethel Schlein, nata nella confortevole Lugano, figlia di un politologo americano e con tripla cittadinanza (italiana, americana e svizzera), incarna perfettamente il paradosso della sinistra moderna. Non una semplice ragazza di provincia, ma un’autentica cosmopolita che ha scelto di rappresentare il popolo della sinistra italiana.
Figlia di un professore emerito di scienze politiche della Franklin University di Lugano, con radici ebraiche ashkenazite e un cognome modificato a Ellis Island (da “Schleyen” a “Schlein”), rappresenta perfettamente quella sinistra che parla di problemi dei lavoratori dal comfort dei salotti buoni.
Regina di immagine
All’apice del suo distacco dalla base del partito, la perfettina Elly assolda un’armocromista a 300 euro all’ora. Mentre i lavoratori che dice di rappresentare faticano ad arrivare a fine mese, lei si preoccupa di trovare la perfetta tonalità di verde per apparire più “autentica” in TV. Una scelta che persino Vincenzo De Luca ha deriso pubblicamente, offrendosi di fare lo stesso lavoro a metà prezzo.
La sua carriera politica è un capolavoro di opportunismo: prima europarlamentare del PD, poi l’abbandono clamoroso per rientrarvi trionfalmente come segretaria. Un percorso che ricorda più le strategie di marketing che una vera militanza politica.
Da perfetta esponente della sinistra da salotto, ha conquistato il partito con il 53,8% dei voti, con buona pace di personaggi quali Nilde Jotti, Teresa Noce o Rita Montagnana, diventando la prima donna alla guida del PD. Un primato storico che sarebbe più significativo se non fosse accompagnato da una visione politica che sembra uscita da un corso di studi liberal in una qualche università d’élite.
Il paradosso della coerenza
Il vero capolavoro arriva successivamente. Grata di essere stata eletta nelle liste del PD, abbandona clamorosamente il partito nel maggio 2015 con un post su Facebook, definendo la linea di Renzi “di centro-destra”. Un voltafaccia che la porta ad aderire a Possibile di Civati, per poi decidere di non ricandidarsi alle successive elezioni europee del 2019.
La parabola politica diventa ancora più interessante quando, dopo sette anni di “autoesilio”, decide di rientrare nel partito che aveva così duramente criticato. Un ritorno orchestrato con precisione chirurgica, non per militare nelle file del partito, ma direttamente per conquistarne la leadership.
La sua esperienza da europarlamentare è un altro capitolo significativo della sua parabola politica. Eletta nel 2014 con 53.681 preferenze, la giovane Schlein si è lanciata in una campagna elettorale ribattezzata pomposamente “Slow Foot”, completa di hashtag virale #siscriveschlein. Un’operazione di marketing politico perfettamente confezionata per l’elettorato progressista.
Durante il suo mandato, ha collezionato una serie di incarichi di prestigio: membro delle Commissioni Sviluppo, Libertà civili e Parità di genere, vicepresidente della Delegazione per i rapporti con l’Albania, persino co-presidente dell’Intergruppo su Integrità e Trasparenza. Ironia della sorte, si è occupata di anti-corruzione mentre saltava da un partito all’altro.
Si può tranquillamente affermare che la sua esperienza a Bruxelles rappresenta il suo personale approccio alla politica: una collezione di incarichi prestigiosi e riconoscimenti, accompagnati da repentini cambi di casacca quando le circostanze lo suggeriscono. Una carriera costruita con la precisione di un orologio svizzero, proprio come le sue origini.
La grande equilibrista
La nostra cara Elly ha perfezionato l’arte di condannare Hamas… per circa tre secondi, prima di lanciarsi in un’appassionata maratona di critiche verso Israele. È come dire “condanno il ladro, ma la cassaforte era davvero troppo provocante!”
Possiede inoltre un concetto creativo di matematica. Schlein ha calcolato che la risposta israeliana è “sproporzionata”. Evidentemente esiste un algoritmo segreto per calcolare la proporzione esatta di una risposta militare. Forse lo tengono nello stesso cassetto della soluzione per la pace nel mondo. Eppure l’algoritmo risente un po’ della qualità dei dati immessi: per Schlein a Gaza ci sono sempre 40mila civili uccisi, che è più del totale di vittime che dichiara Hamas, inclusi i combattenti. Fare meglio di Hamas in questo campo non è facile, forse anche i numeri li passa l’armocromista.
Ma nulla batte la sua richiesta di fermare la “follia di Netanyahu” mentre mantiene un discreto silenzio sulla follia di Hamas. È come criticare l’estintore per essere troppo aggressivo con il fuoco. Una vera funambola della diplomazia internazionale.
L’aspetto più sorprendente di questa vicenda è come sia riuscita a costruire il proprio consenso giocando proprio su questa ambiguità: contemporaneamente interna ed esterna al PD. Una strategia che le ha permesso di presentarsi come figura di rottura pur essendo perfettamente integrata nel sistema che diceva di voler cambiare.
La nostra Elly incarna alla perfezione il paradosso della sinistra moderna: una leader che predica l’uguaglianza sociale mentre vive in un mondo di privilegi, consulenti d’immagine e comfort che la maggior parte dei suoi elettori può solo sognare. Una perfetta rappresentante di quella gauche caviar che ha perso il contatto con la realtà delle persone comuni. E pure con le addizioni.






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