Piazze arabe e piazze occidentali ribollono di passione per la causa palestinese, ma spesso hanno la memoria cortissima
Prologo: La kefiah, accessorio must-have della stagione
Mentre il mondo occidentale si affanna a indossare la kefiah come fosse l’ultimo grido della moda, trasformando un simbolo di lotta in un accessorio da passerella, ci si chiede: ma la tanto decantata solidarietà panaraba dov’è finita? Forse è rimasta impigliata tra le frange di qualche scialle trendy?
Atto I: Il grande spettacolo della retorica
Per decenni, i governi arabi hanno recitato appassionati monologhi sulla solidarietà panaraba. Peccato che quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, sembrano colpiti da una improvvisa paralisi alle braccia, incapaci di aiutare i loro “fratelli” palestinesi. È come se avessero sviluppato una forma acuta di allergia al sostegno concreto, con sintomi che si acuiscono particolarmente durante le crisi.
Assistiamo a un turbinio di scuse creative e giustificazioni acrobatiche, in una performance che potremmo intitolare “Ti voglio bene, ma da molto, molto lontano”. Un capolavoro di contorsionismo emotivo che farebbe impallidire anche il più flessibile dei circensi.
Atto II: Il re e la linea rossa
Nell’ottobre 2023, il magnanimo re Abdullah di Giordania, con la gravitas di un attore shakespeariano, pronunciò una dichiarazione destinata a passare alla storia: “Questa è una linea rossa, Nessun rifugiato in Giordania, nessun rifugiato in Egitto”. Con un gesto degno del miglior illusionista, trasformò la solidarietà in una linea invalicabile, facendo sparire nel nulla secoli di tradizione di accoglienza.
Come in una sinfonia ben orchestrata, altre compassionevoli nazioni arabe si unirono a questo canto di “non accoglienza”. Un’armonia perfetta di porte chiuse e frontiere sigillate.
Atto III: L’Egitto e l’amnesia selettiva
L’Egitto, colpito da un’improvvisa amnesia selettiva, sembra aver dimenticato uno degli hadith del Profeta: “Chi crede in Dio e nell’Ultimo Giorno onori l’ospite”.
Con grazia, l’Egitto ha eseguito una complessa coreografia di giustificazioni: problemi di sicurezza, questioni economiche, possibili alterazioni degli equilibri demografici. Una performance che ha espresso al massimo la famosa ospitalità araba, riassunta nel detto: “L’ospite è un dono di Dio” “الضيف هدية من الله”. Evidentemente, alcuni doni si preferisce lasciarli impacchettati e non aprirli mai.
Atto IV: Il grande silenzio
Mentre l’Egitto teneva le porte ben chiuse davanti al popolo “oppresso” e in guerra, gli altri paesi arabi sembravano impegnati in una gara di immobilismo. Nessuno ha allargato le braccia in segno di accoglienza.
Di fronte a queste porte chiuse, a questa assenza di solidarietà concreta, il silenzio degli attivisti propal è stato assordante. Nessuno si è stracciato le vesti, forse per paura di rovinare la preziosa kefiah, made in China, appena acquistata.
Epilogo: La grande ipocrisia
In questo grande teatro dell’assurdo, la solidarietà panaraba si rivela per come un’illusione ottica, un miraggio nel deserto della realpolitik, mentre il mondo occidentale gioca a fare il paladino dei diritti umani, indossando kefiah come fossero sciarpe griffate.